Giunta inaspettata, la notizia della scomparsa di Paolo Isotta, a settant’anni da poco compiuti, ha colpito non unicamente gli ambiti più strettamente musicologici e legati e alla divulgazione musicale ma l’intero contesto culturale del nostro Paese.
Nato a Napoli in una famiglia di avvocati, la formazione di Isotta fu poliedrica come un tempo spesso avveniva: dopo la maturità classica (costantemente rivendicata con un sano orgoglio privo di qualsivoglia spocchia), si laureò in giurisprudenza e in lettere riuscendo al contempo a coltivare gli studi musicali. Oltre al pianoforte (sotto la guida di Vicenzo Vitale), Isotta si dedicò alla composizione seguendo gli insegnamenti di Renato Parodi e Renato Dionisi.
Nel 1971, ad appena ventun anni, iniziò la carriera didattica in Storia della musica presso i Conservatori di Reggio Calabria, Torino e, infine, Napoli. Nel 1994 decise di chiudere con l’insegnamento perché, come ebbe più volte modo di spiegare, “stufo dell’ignoranza degli studenti”. In una recente intervista televisiva trasmessa da Rai 2, Isotta lamentava, infatti, le carenze della scuola, “incapaci di formare i giovani non solo ad apprendere il significato della lingua ma ad educare alla correttezza ortografica”. Come porre rimedio a ciò? “Il recupero dello studio del latino – ammetteva- insieme al greco culla della nostra civiltà”.
Studioso intransigente (prima di tutto con se stesso) e coerente con un’idea di cultura che non fosse apparenza, Isotta fu spesso definito anticonformista. I suoi giudizi musicali espressi per anni su diverse testate (prima su “Il Giornale” di Montanelli, poi sul “Corriere” e ultimamente su “Il fatto quotidiano”) erano spesso lapidari e duri ma mai tendenziosi e, tantomeno, dettati da qualsivoglia interesse.
Nel 2015, accomiatandosi dal “Corriere” e dalla critica musicale militante per approdare a “Il fatto”, ricordava con nostalgia il livello musicale di un tempo, le recensioni di spettacoli con protagonisti ormai leggendari: Karajan, Celibidache, Patanè, Bernstein, Solti e tanti altri tra cantanti e solisti. Sugli attuali interpreti sentenziava: “Vi sono bravi ragazzi, certo, ma non bastano a riempire il vuoto. Impavido è Riccardo Muti. Tuttavia negli ultimi anni il grande napoletano si è fossilizzato nel repertorio e, nella scelta degl'interpreti che invita a Chicago - è il direttore della più grande orchestra del mondo- s'ispira a criteri che, a voler essere benevoli, sono difficili da comprendere. Nel canto, Dio liberi. Quanto al pianoforte, posso dire che vi sono alcuni giganti, da Arcadij Volodos a Grigorij Sokolov a Krystian Zimerman. Ma se vengono presi sul serio casi scandalosi come un certo Allevi...”
Oltre alle numerose pubblicazioni di carattere strettamente musicologico, quanto mai variegate nei temi trattati, l’interesse di Isotta si era ultimamente aperto ad una trattazione di ampio respiro culturale confluendo in opere che indagano connessioni tra musica, letteratura, pittura, poesia e contesto storico. Sono così venuti alla luce libri come “Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia”, La virtù dell'elefante. La musica, i libri, gli amici e San Gennaro” “La dotta lira. Ovidio e la musica” e, infine, lo straordinario “Verdi a Parigi”.
Lo stile letterario di Isotta, fatto di signorilità e di piacere per il racconto, era in grado di affascinare coinvolgendo il lettore in un avvincente percorso intellettuale nel quale, come purtroppo spesso avviene, l’erudizione non era mai fine a sé stessa ma condivisa in modo tale da stimolare la riflessione e il desiderio di approfondimento.
Per avvicinare il “personaggio” Isotta non possiamo tacere il suo carattere schiettamente e orgogliosamente partenopeo. A proposito di Napoli, in un’intervista televisiva, spiegava: “è una città nella quale c’è una forte religiosità di tipo pagano, c’è uno scetticismo assoluto e un senso dello spirito. C’è anche la costante presenza della morte che rientra in quasi tutti i proverbi napoletani e che forse si spiega con il fatto che Napoli si trova nei pressi di un vulcano che da un momento all’altro può esplodere”.
L’amore per la propria città natale portò Isotta a studiarne non unicamente lo straordinario patrimonio musicale ma anche l’arte e l’architettura con una particolare predilezione per il periodo barocco.
A chi lo accusava di una ferrea intransigenza derivante da una convinta fede cattolica e dalla durezza di carattere possiamo dedicare le sue parole sull’armonia e sulla fratellanza che ci lega: “L’unità della natura è dimostrata. Noi siamo fratelli non solo degli animali ma anche delle piante, dell’aria. Il cattolicesimo ha avuto il merito di ripristinare quel paganesimo che San Paolo e sant’Agostino avevano estirpato”.
Riflessioni che, ancora una volta, aprono orizzonti stimolando il desiderio di ricerca e comprensione.
Lodovico Buscatti
servizio RAI dedicato a Paolo Isotta
Lodovico Buscatti