Manca davvero poco all’inizio del Festival Monteverdi 2024 pertanto cogliamo l’occasione per fare qualche domanda ad Andrea Cigni, direttore artistico di questa importante manifestazione; immaginando l’impegno di queste giornate, come prima cosa ci viene da chiederti: come stai?
Grazie per la domanda. Sto bene, sono felice ed emozionato. Si dice in fibrillazione, nell’attesa che questa creatura meravigliosa che è il Monteverdi prenda vita nel mese di Giugno. Tra pochi giorni arriveranno i primi artisti, per oltre duecento coinvolti e la città cambierà volto per un mese intero, per celebrare il genio cremonese.
Come reagisce la città di Cremona a questo evento che l’avvolge? Prima del Festival com’era il rapporto tra la città e questo immenso musicista?
La città di Cremona, ma soprattutto i cremonesi, i concittadini del Divin Claudio, da qualche anno stanno prendendo confidenza con questo folle rivoluzionario della musica occidentale. C’è la percezione che col tempo ciascuno si renda conto della responsabilità che ciascun cremonese ha nel proteggere questo patrimonio e nel divulgarlo. Vedi, non è fondamentale per tutti conoscere intimamente l’opera di Monteverdi ed essere un musicologo esperto per comprenderne il valore universale, basta semplicemente capire che, a prescindere dai titoli, dalle composizioni, da ciò che ha inventato, è stato uno dei geni del nostro ‘rinascimento musicale’ e di quanto la sua eredità abbia influenzato e cambiato per sempre la storia della musica. Cremona è sempre un po’ schiva e discreta nel suo ‘essere’, deve imparare un po’ di più ad essere orgogliosa del proprio passato e di quanto abbia contribuito allo sviluppo della civiltà a livello culturale. Un po’ come per i romani avere coscienza della grandezza della loro storia, o per i fiorentini. Ecco accanto ai geni del passato, Galileo, Leonardo, Caravaggio nella pittura e numerosi altri, va collocato Monteverdi, padre di ciò che oggi celebriamo in tutto il mondo come principale prodotto musicale italiano, l’opera lirica.
Tu sei un regista: è più facile mettere in scena un’opera del divin Claudio o “organizzargli” un festival?
Sono due cose diverse. Il mio essere uomo di teatro va nelle due direzioni. Quella artistica, sul palcoscenico, e quella organizzativa, legata agli aspetti produttivi, ai budget, alla logistica. Credo che sia importante, un valore aggiunto, questa ‘dualità’ che ho la fortuna di aver coltivato nel corso della mia vita teatrale. Sicuramente organizzare un festival dedicato a Claudio Monteverdi, alla sua storia, al suo lascito, a quello che da lui si genera e che rappresenta in un certo senso anche il nostro futuro (da solide basi storiche si progetta il domani), non è una passeggiata, ma è come concertare un palcoscenico, i suoi artisti, le masse, gli elementi scenici e di costume. L’importante è avere un buon team che sia in grado di accogliere una visione e realizzarla con te. E questo ho il privilegio di poter dire, ho un buon team accanto a me, sia quando sono regista che quando faccio il sovrintendente e direttore artistico del Festival.
Qual è stato il tuo approccio a Monteverdi quando hai fatto le regie di Orfeo e Ulisse? E qui ci starebbe una domanda su cui parlare per ore: quanto la musica influenza un regista? E, nello specifico, quanto lo fa la musica di Monteverdi?
Ho realizzato solo una produzione de L’Orfeo. Produzione del 2007 ripresa nel 2017 e nel 2021. Ho voluto sottolineare l’aspetto favolistico, del racconto fantastico, per esplorare quell’amore tra Orfeo ed Euridice e le innumerevoli possibilità che quella storia offre per la sua interpretazione. La musica, tra l’altro uno dei personaggi, il primo che incontriamo nella drammaturgia monteverdiana, fa molto, ma non tutto. Molto lo fa anche il testo. Non si può prescindere, soprattutto in questo repertorio, dal testo. Musica e testo si compenetrano, l’azione, secondo il dettame di Monteverdi, fa il resto: unisce i due elementi e così si realizza quel concetto di drammaturgia musicale che è l’opera lirica in sé. La musica di Monteverdi è al servizio del testo e dell’azione, è puro teatro, racconta gli affetti, le dinamiche e guida le azioni. Penso sempre al Combattimento di Tancredi e Clorinda, di cui quest’anno ricorrono i 400 anni dalla prima rappresentazione e che celebriamo con una nuova produzione, al momento della battaglia, scandita chiaramente dagli strumenti musicali, alla tenzone, fino alla dolcezza dello scioglimento finale. È musica che si fa teatro nella sua massima espressione.
Tu vieni dalla costa livornese: mare, scoglio, sole, contrasti netti, colori intensi, popolaresca, Mascagni e i macchiaioli. Come ti trovi in questa città dalla luce spesso sfumata, di bellezza severa e elegante, terra ricca e fertile, Monteverdi e i liutai?
Da più di vent’anni vivo a Cremona. L’ho scelta quasi per caso, la amo e la critico ogni giorno. È una città bellissima, piena di storia, piena di musica, a pieno titolo la Capitale mondiale della musica, con i suoi due più illustri protagonisti, Monteverdi e Stradivari. Una città a cui non si può non voler bene e che languidamente si nasconde nella foschia della pianura, quasi a voler proteggere questo meraviglioso patrimonio che ha saputo generare per tutti i popoli della terra. Una terra fatta di menti eccelse e di mani, come quelle dei liutai che cesellano, seguendo un sapere antico, strumenti dai quali nascono le più belle pagine di musica che tutti noi ascoltiamo in tutti i teatri e le sale da concerto del mondo. La fertilità di questa terra è custodita dai suoi abitanti. Coltivare il grano è come coltivare la musica, il germoglio che nasce dalla terra crea il pane, il germoglio che nasce dalla musica crea le persone e illumina le menti.
Voi date un’immagine di Monteverdi moderna che è diventata il vostro riconoscibile marchio, lo scorso anno lo avete presentato come un astronauta, pur se un po’ dandy, e quest’anno lo vediamo tramutare il suo look seicentesco in un attuale smoking: un messaggio chiarissimo sull’attualità di lavori composti più di quattrocento anni fa. Mi chiedo se questo modo di presentarlo sia stato apprezzato o se ci siano stati riscontri negativi.
Monteverdi è un nostro contemporaneo, lo ascoltiamo ogni giorno in ciò che lui stesso è diventato. Canzoni, opere, musica in generale. Il modo per raccontare tutto questo è stato quello di renderlo moderno, vicino a noi, senza timore. E l’apprezzamento è unanime.
Il vostro è un Festival ambizioso ed è molto cresciuto in questi anni non solo per i nomi eccellenti che ne frequentano la scena ma anche per la lungimiranza di vedute che vi ha portato a organizzare il Cavalli Monteverdi Competition: cercare voci giovani per il repertorio barocco mi pare per voi un grande investimento che guarda al futuro… ce ne parleresti?
Il CMC è stata una sfida, vinta. Oltre centoventi iscritti al concorso, da tutto il mondo, età media 25 anni, la conoscenza della lingua italiana, necessaria per affrontare questo repertorio. L’unico concorso al mondo, che si volge tra Cremona e Crema, unendo i due compositori Monteverdi e Cavalli (allievo di Monteverdi), per questo repertorio che gli italiani hanno inventato e che poi abbiamo in parte dimenticato (col rischio che all’estero ce lo portino via) anche un po’ ‘drogati’ da tutto il meraviglioso repertorio ottocentesco che abbiamo. Abbiamo avuto una giuria prestigiosa, abbiamo messo in palio i ruoli delle opere e i concerti, per far comprendere che il concorso non è solo una competizione, ma un’opportunità per tutti coloro, giovani soprattutto, che decidono di dedicare la propria vita allo studio di questo repertorio sublime. Nel 2025 riprenderemo la seconda edizione, il concorso è biennale e sicuramente avremo ancora di più una grande partecipazione di iscritti.
In locandina avete nomi eccellentissimi e salta all’occhio quello di Cecilia Bartoli nel concerto di gala; a noi colpisce molto quello di Sir John Eliot Gardiner, un riferimento per chi ama l’opera di Monteverdi, che non dirigerà ma avrà un incontro con il pubblico. Ci sono delle anticipazioni su cosa verterà l’incontro?
Il Maestro Gardiner è cittadino onorario di Cremona, ospite frequente del nostro Festival, per ovvie ragioni, non solo affettive, ma musicali e culturali. L’idea di averlo quest’anno come interlocutore e anche protagonista di una Masterclass della nostra MonteverdiAcademy per giovani musicisti barocchi è stata pensata per dimostrare che il festival non è solo luogo performativo, ma anche formativo. E quale miglior protagonista per questo percorso, se non John Eliot Gardiner? Il suo sapere, la sua conoscenza, la sua esperienza, saranno un tesoro per chi avrà la fortuna di assistere al suo incontro col pubblico e per i giovani artisti che prenderanno parte alla masterclass. Ci auguriamo che anche nelle prossime edizioni si alterneranno nomi eccellenti di questo repertorio.
…e Andrea Cigni regista che farà, una volta portato a termine questo “magnifico impegno”?
Farò quello che ho sempre fatto, al servizio del teatro in ogni sua espressione, artistica e manageriale.
Marilisa Lazzari