Impegnativo ed esaltante l’aver potuto seguire anche quest’anno il festival wagneriano che da undici anni si tiene al Müpa di Budapest, ricordandoci che non esiste solo Bayreuth. Grandi interpreti ed allestimenti convincenti si susseguono concentrati in poco più di una settimana. Quest’annno, oltre al Ring, che si congedava dalle scene del Palazzo della Musica, abbiamo assistito ad un Rienzi in forma di concerto e ad un Parsifal emozionante.
Nelle recensioni che seguono ci siamo concentrati, per quanto riguarda il Ring, sulle compagnie di canto, scegliendo di trattare l’aspetto visivo e la direzione dell’intera Tetralogia qui di seguito. Abbiamo invece dedicato invece due pezzi “compiuti” al Rienzi ed al Parsifal.
Der Ring des Nibelungen
Wagner era nel giusto nell’asserire che il Prologo e le Tre giornate che compongono il Ring des Nibelungen non dovrebbero mai e poi mai essere rappresentate separatamente, pena la perdita dell'unità assoluta che è racchiusa sia nella narrazione musicale che in quella drammaturgica, e che insieme costituiscono un unicum inscindibile.
Dal cupo accordo primigenio che apre il Rheingold all'ultimo fluire di tutti i Leitmotiv che si rincorrono nel finale della Götterdammerung tutto si sviluppa e si va risolvendo in un flusso ininterrotto e non interrompibile di parole e musica.
La produzione è semiscenica solo sulla carta. Il concetto, creato dal regista Hartmut Schörghofer (ripreso daEtelka Polgár e Sylvie Gábor) che firma anche le scene, i costumi atemporali e le marionette di Corinna Crome oltre al perfetto disegno di luci di Andreas Grüter, conducono direttamente ad una visione dello spazio e del movimento che vive di un'intensa drammaturgia.
La Sala Béla Bartók del Palazzo della Musica è dotata di golfo mistico, dunque il palcoscenico è utilizzabile nella sua totalità. Su di uno snello praticabile a doppio livello si staglia una parete di pannelli mobili di policarbonato semiopaco, che diviene schermo per le proiezioni realizzate da Momme Hinrichs e Torge Møller (fettFilm), e che ora astratte, ora iperrealiste calano l'azione in uno spazio che oscilla tra il concreto e l'onirico.
A spazi montani e panorami si alternano immagini di città, sempre più caotiche a sottolineare la progressiva disfatta del mondo degli dei e di quello degli uomini, sconfitti da inganni e patti traditi. Poi acqua e fuoco, terra e aria, figure umane appena accennate, larve senza forma, e, improvvisamente persone vere, che scrutano lo spettatore e lo rendono parte del gioco drammaturgico in un coinvolgimento crescente.
Colui che tira le fila di tutto è Loge, o meglio il suo Doppelgänger che, perverso maestro di cerimonie officia in frac rosso, i momenti topici della crescente, inevitabile tragedia. Attorno ai protagonisti si muovono silenziosi dei danzatori che, grazie a marionette abilmente manovrate, diventano i cani di Hunding, i cavalli delle Valchirie, parte dei giganti, dei quali si vedono solo le due enormi teste modellate sulle maschere del teatro Kabuki. La fusione perfetta tra movimento delle proiezioni e movimento dei danzatori, uniti a quelli essenziali dei solisti, contribuisce a creare un'atmosfera straniante, nella quale la potenza di musica e parola trova perfetta sintesi, avviluppando lo spettatore in un crescendo di sensazioni anche contrastanti tra di loro e permettendo di cogliere pienamente l'essenza più intima del Ring. Alcune idee ci sono piaciute più di altre, prima tra tutte quella dei corvi di Wotan impersonati da due danzatori, ciascuno dei quali con una sola ala; rappresentazione di un'impotenza di Wotan manifesta sin dall'inizio. Come il padre degli dei è privo di un occhio, anche i suoi messaggeri soffrono di una mutilazione che li costringe a dipendere l'uno dall'altro. Tutto funziona, rodato negli anni. Assai efficace la caratterizzazione dei Nibelunghi che seguono fedeli Alberich, immaginati come un incrocio tra umani e rettili.
Ad un allestimento del tutto convincente corrisponde una direzione superba.
L’intento di Adam Fischer risulta immediatamente chiaro: soffiare via dall'immensa partitura la polvere di una tradizione trita, che la vorrebbe eroica oltremisura ed al contempo schiava di qualche leziosità sempre poco opportuna, restituendola all’ascolto in chiave totalmente antiretorica, illuminandola di una bellezza trasparente, purificata, monda da qualsiasi incrostazione che ne opachi il fulgore.
I contrasti, gli impeti, gli abbandoni lirici appaiono nella lettura di Fischer in una forma trascendente, resi con tempi mai convulsi, attraverso scelte dinamiche di incredibile varietà e fantasia, con grande attenzione a colori e ritmi, il tutto a creare un un meraviglioso racconto, fondendo il Klang dell’orchestra, la magnifica Orchestra Sinfonica della Radio Ungherese, con il Gesang dei solisti e dei Cori.
Alessandro Cammarano
Le recensioni delle opere viste: