Nabucco | Amartuvshin Enkhbat |
Ismaele | Samuele Simoncini |
Zaccaria | Abramo Rosalen |
Abigaille | Maria José Siri |
Fenena | Francesca Di Sauro |
Il gran sacerdote di Belo | Nicolò Ceriani |
Abdallo | Carlo Bosi |
Anna | Elisabetta Zizzo |
Direttore | Daniel Oren |
Regia e Costumi | Arnaud Bernard |
Scene | Alessandro Camera |
Maestro del Coro | Ulisse Trabacchin |
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona |
Dopo la sfortunata prima stagionale di Aida, il debutto di Nabucco al 99° Arena Opera Festival ha avuto un esito decisamente migliore, pur con i dovuti distinguo.
Dal punto di vista tecnico anche questa produzione ha infatti risentito di un esiguo numero di prove, come testimoniato da una lunga serie di intoppi quali i colpi di pistola che non partono (causando delle involontariamente ridicole morti per fulminazione di alcuni figuranti e di Ismaele), la statua di Belo che si inclina appena senza nessuna folgore divina che la abbatte, o le luci dell’interno della Scala che continuavano a saltare dando l’effetto di una casa degli orrori di qualche luna park.
Se lo spettacolo ha comunque retto è sicuramente perché, a differenza degli altri allestimenti rappresentati finora, c’è un’idea registica di fondo che riesce a raccontare una storia efficace, interessante e abbastanza inedita per un teatro abituato a spettacoli in epoca quale è l’Arena. Come confermato dal gradimento del pubblico che applaude entusiasta al sorprendente cambio scena a vista dall’esterno all’interno del Teatro alla Scala, il Nabucco risorgimentale di Arnaud Bernard e Alessandro Camera piace e continua a piacere. Mi auguro che la sua assenza dal palco areniano sia breve, dato che nel cartellone del 2023 è annunciata la ripresa dell’allestimento storico, dovuto omaggio al regista Gianfranco De Bosio recentemente scomparso.
Più efficace la concertazione di Daniel Oren alla guida dell’Orchestra e Coro di Fondazione Arena, decisamente più attento alle esigenze dei solisti e capace di ritagliare dei momenti di stasi e abbandono lirico alternati ai brani più concitati: tra i momenti più particolarmente riusciti, le delicate introduzioni orchestrali all’aria di Abigaille, alla preghiera di Zaccaria e alla conversione di Nabucco.
Più altalenante il rendimento del cast vocale, dominato dal solido e granitico Nabucco di Amartuvshin Enkhbat, il cui recente e oneroso impegno nel contemporaneo Rigoletto scaligero non ha minimamente inficiato una prestazione di buon livello.
Francesca Di Sauro tratteggia una Fenena dolcemente remissiva, dallo strumento vocale ben proiettato seppur tendente, soprattutto nel finale, ad alcuni suoni fissi. Giustamente ardimentoso l’Ismaele di Samuele Simoncini, dagli accenti scolpiti e appassionati.
Di contro, Maria José Siri è un Abigaille guardinga e sulla difensiva, poco a fuoco negli scatti più furibondi del personaggio e più a suo agio nei momenti di riflessione intima della figliastra di Nabucco, quali “Anch’io dischiuso un giorno” e l’aria finale.
Giunto a sostituire il collega indisposto, Abramo Rosalen è uno Zaccaria volenteroso ma non del tutto irreprensibile vocalmente, specialmente per la tendenza a ingrossare e gonfiare i suoni.
Professionale e compatto il trio di comprimari, la precisa Anna di Elisabetta Zizzo, il bieco Belo di Nicolò Ceriani e il partecipe Abdallo di Carlo Bosi.
Pubblico, come detto, partecipe ed entusiasta verso la messa in scena e la compagine vocale, oltre che divertito dal siparietto in cui Oren redarguiva gli spettatori per gli applausi partiti, a suo dire, troppo prima della fine del “Va’ pensiero”, ovviamente bissato a furor di popolo. Ai saluti finali, ovazioni per tutti con punte di entusiasmo per Siri, Enkhbat e Oren.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 25 giugno 2022.
Martino Pinali