Ludwig van Beethoven | Trio per archi e pianoforte n.5 in re maggiore Op.70, |
Piotr Ilic Ciaikovskij | Trio in la minore per violino, violoncello e pianoforte Op.50 |
Pianoforte | Lucas Debargue |
Violino | David Castro Balbi |
Violoncello | Alexandre Castro Balbi |
Alcune auto d’epoca (bellissime) dei primi anni Trenta del secolo scorso posizionate davanti all’ingresso del Teatro Verdi hanno accolto gli spettatori della serata inaugurale della stagione cameristica della Società dei Concerti.
Fascino immutabile, tirate a lucido, le automobili rappresentavano bene il passare degli anni in maniera nobile e aristocratica. Allo stesso modo, le stagioni concertistiche dell’istituzione culturale triestina – che ieri festeggiava il 1500° concerto – si susseguono con sobrietà e classe proponendo compositori immortali e interpreti di eccellente livello da novant’anni.
Pubblico assai numeroso composto da moltissimi giovani, abbonati di lungo corso e persone che andavano per la prima volta a teatro. Un flusso in divenire virtuoso che non può che far piacere al Presidente Piero Lugnani e al Direttore Artistico Marco Seco, che hanno brevemente introdotto la serata.
Protagonisti Beethoven e Ciajkovskij, entrambi colti nella difficile arte del Trio con pianoforte, violino e violoncello, due pagine musicali che, ascoltate di pancia, non possono che far riflettere sulla diversa natura dei due compositori.
Nella musica di Beethoven si ha sempre la sensazione che tutto abbia struttura geometrica, che ci sia un’architettura formale non rigida ma in ogni caso aristocratica e predeterminata, quasi severa. Tanto che ieri, ascoltando il celeberrimo secondo movimento (Largo assai) del Trio per archi e pianoforte n.5 in re maggiore Op.70, mi sono accorto che è una musica quasi estranea al compositore perché è rarefatta, indefinibile, madreperlacea: non è un caso che sia stato proprio questo movimento a consegnare alla storia della musica il brano come “Trio degli spettri”.
D’altra parte, Ciajkovskij è invece compositore viscerale e anarchico, furioso negli ardori e terribilmente malinconico nei ripiegamenti riflessivi, che sfiorano gli abissi più profondi dell’anima. Di certo, nel Trio in la minore per violino, violoncello e pianoforte Op.50 non si percepisce la dichiarata avversione per l’uso di archi e pianoforte in contemporanea.
L’ispirazione popolare di alcune parti del concerto, soprattutto nella seconda parte dove le danze riecheggiano chiaramente, è evidente, com’è chiaro che nella prima parte (Pezzo elegiaco) Ciajkovskij dia fondo a quella che a torto è chiamata retorica, quando invece è enfasi oratoria, che è tutt’altra cosa.
Gli interpreti sono stati assolutamente strepitosi – nonostante, relata refero, un inconveniente dovuto a un ritardo aereo – e hanno dato conferma alla mia vecchia tesi che il trio sia una delle forme musicali più democratiche, perché per quanto i protagonisti siano virtuosi dello strumento e suonino allo scoperto devono sacrificarsi per la buona riuscita dell’insieme.
Di Lucas Debargue, al pianoforte, ho apprezzato in particolare il controllo delle dinamiche e il tocco morbidissimo capace però anche di improvvisi slanci drammatici. Bravissimo anche David Castro Balbi al violino, il quale in un attimo passa da un suono grasso e opulento a eteree delicatezze quasi appena percepibili. Eccellente il contributo di Alexandre Castro Balbi al violoncello anche nel non facile pizzicato del Trio di Ciajkovskij.
Alla fine pubblico entusiasta che ha chiamato gli interpreti al proscenio una decina di volte, degna conclusione di una serata di grande pregio tecnico e di valenza emotiva
traordinaria.
La recensione si riferisce alla serata del 13 novembre 2023
Paolo Bullo