Pianoforte | Mikhail Pletnev |
Programma | |
Aleksandr Skrjabin | 24 Preludi op. 11 |
Fryderyk Chopin | 24 Preludi op. 28 |
Il grande pianista russo Mikhail Pletnev non aveva mai suonato a Pistoia: eccolo quindi la sera dell'8 novembre presentarsi, per la Stagione dei Concerti, sul palcoscenico dove prima di lui si sono esibiti pianisti di levatura mondiale (Zimerman, Sokolov e in anni lontani anche la Fischer, la de Larrocha, Richter), davanti ad un Teatro Manzoni piuttosto affollato di spettatori che gli hanno riservato un grandissimo successo (con tre fuori-programma).
La locandina si presenta sulla carta abbastanza coraggiosa per l'ascoltatore medio ed apparentemente frammentaria, con i 24 Preludi op. 11 di Aleksander Skrjabin e quelli op. 28 di Fryderyc Chopin. Quindi nessun “pezzo forte” come potrebbe essere una sonata o un ciclo accattivante del grande repertorio: i preludi sono una forma musicale breve e piuttosto libera, e richiedono - soprattutto se presentati non singolarmente o ”in antologia” - una grande dose di attenzione e concentrazione all'ascolto, ed il pubblico del Teatro Manzoni si è facilmente lasciato catturare.
Pletnev esegue questi preludi in due grandi blocchi, ciascuno senza soluzione di continuità. Ne deriva un percorso poetico sciorinato davanti agli ascoltatori in un'atmosfera intima ma che rifugge da ogni atteggiamento salottiero, in un percorso di grande intensità emotiva. Impaginare completamente una locandina con brani come questi può essere un rischio se non si ha alle spalle una ferrea logica interpretativa; il preludio nelle 24 tonalità, lungi da apparire un esercizio di stile, acquista così profondità e potenza di pensiero fino a farsi rivelatore di un pianismo e di una poetica di estremo interesse.
È senz'altro cosa meritoria gettare luce su una figura come quella di Aleksandr Skrjabin (1872-1915), musicista abbastanza controverso e forse un po' bistrattato, certamente poco conosciuto e non molto eseguito, che a volte viene derubricato a compositore di secondo ordine, evidenziando della sua figura aspetti paramusicali come il misticismo, le sue idee filosofiche e teosofiche. In questi assai suggestivi Preludi op. 11 (composti in un arco temporale dal 1888 al 1896) il musicista è colto nel suo iniziale percorso compositivo ancora debitore del romanticismo, con pagine forse non particolarmente personali né particolarmente “visionarie” sia nella forma sia nel linguaggio, come invece avverrà per sue composizioni mature (e forse sarebbe stato meglio invertire l'ordine dei brani in locandina, e far precedere Skrjabin da Chopin).
Per quanto riguarda i celeberrimi Preludi op. 28 di Chopin basti dire che si tratta di uno dei più essenziali must del repertorio pianistico, amatissimi dal pubblico e banco di prova obbligato per ogni pianista.
A proposito delle interpretazioni di Mikhail Pletnev diciamo anzitutto che bisogna entrare nel suo mondo, nel suo modo personale di concepire le note con tempi e colori tutti suoi (anche con la complicità dello strumento usato: magnifico quello usato in questa occasione), e forse più per se stesso che per la platea: un'autoconfessione, forse anche un po' di autocompiacimento solipsistico nel “suonare per sé” invece che ”suonare per il pubblico”, ed in ciò lontanissimo da atteggiamenti teatrali o da primadonnismi che letture intense come queste farebbero apparire fuori luogo.
Colpiscono il perfetto controllo strumentale, la ricerca timbrica, lo scavo millimetrico di ciascuna nota, uno scavo che sconfina nel trascolorare della poesia (o nell'intensa tensione emotiva, in certi casi), lo stupore di mostrare aspetti nascosti delle composizioni e che all'ascolto paiono immediati, quasi concepiti sul momento (in realtà studiatissimi, in particolare i fraseggi delle linee del canto), con tempi piuttosto comodi e personali. Si tratta di interpretazione e non di mera esecuzione: nel panorama odierno una personalità come la sua appare particolarmente rara.
La recensione si riferisce al concerto dell'8 novembre 2023.
Fabio Bardelli