Elisabetta | Marta Torbidoni |
Sara | Chiara Amarù |
Roberto Devereux | Giulio Pelligra |
Nottingham | Andra Borghini |
Lord Cecil | Carmine Riccio |
Gualtiero | Ugo Guagliardo |
Un paggio | Federico Cucinotta |
Un famigliare di Nottingham | Antonio Corbisiero |
Direttore | Roberto Abbado |
Regia | Alessandro Talevi |
Assistente alla regia e azioni mimiche | Anna Maria Bruzzese |
Scene e costumi | Madeleine Boyd |
Luci | Matt Haskins |
riprese da | Teresa Nagel |
Maestro del Coro | Ciro Visco |
Orchestra e Coro del Teatro Massimo | |
Allestimento della Welsh National Opera |
Grandi consensi ha riscosso la messa in scena di Roberto Devereux tra il giovane pubblico, composto soprattutto da studenti, che ha assistito alla recita del 22 Marzo al Teatro Massimo di Palermo (qui la recensione della Prima); le scolaresche presenti in sala hanno infatti apprezzato il capolavoro donizettiano, probabilmente anche grazie all’accattivante accostamento che il regista Alessandro Talevi propone presentando la corte di Elisabetta come la tela di un ragno che intrappola i suoi avversari e di cui lei stessa diverrà vittima.
È Marta Torbidoni l’interprete di Elisabetta, personaggio tirannico, tormentato e feroce, imbrigliata tra le insidie della politica e le tempeste della vita amorosa. Il soprano affronta con sicurezza il ruolo assai complesso, prestando attenzione a giocare con le dinamiche indicate in partitura (ad esempio, nel cantabile “L’amor suo mi fe’ beata”, la Torbidoni si destreggia nell’uso del pianissimo per esprimere il lato umano e intimo della regina), dimostrando in seguito anche notevole comodità nelle colorature e, in generale, nel registro acuto. Il soprano ben definisce la trasformazione della regina nella spietata vendicatrice il cui furore esplode con la condanna che chiude il secondo atto (“Va’, la morte sul capo ti pende”) e che la porterà allo sconvolgimento finale (“Vivi, ingrato, a lei d’accanto… Quel sangue versato”), quando la vulnerabilità umana prevarrà in una donna che perde, allo stesso tempo, il trono e il controllo delle sue facoltà mentali. Causa di questo precipitare verso la rovina è un triangolo amoroso, meno usuale nel mondo dell’opera, nonché il doppio tradimento subito dalla regina da parte dell’amante e della sua confidente.
La rivale in amore di Elisabetta, Sara, è la palermitana Chiara Amarù, la cui duchessa di Nottingham colpisce positivamente. Abituati ad apprezzarla soprattutto nel repertorio rossiniano, le frasi cantabili della Amarù risultano morbide ed eleganti, ma allo stesso tempo assai espressive: il suo canto, sempre ben proiettato, delinea il profilo della giovane innamorata disposta a sacrificare i suoi sentimenti per restare fedele al vincolo coniugale; fin dalla breve e triste cavatina “All’afflitto è dolce il pianto”, la Sara di Chiara Amarù risulta assai convincente nello scivolare verso il suo inesorabile destino.
L’oggetto del desiderio delle due contendenti è Roberto, conte d’Essex, nel cui ruolo debutta un tenore la cui vocalità si conferma adatta al repertorio belcantista: Giulio Pelligra, che, dopo essere stato apprezzato dal pubblico palermitano ne Le Vêpres Siciliennes, si dimostra ancora una volta all’altezza del ruolo affidatogli. Emerge un coraggioso innamorato, appassionato nel dichiarare i suoi sentimenti a Sara durante il duetto del primo atto (dove, alternando frasi in pianissimo ad altre in cui il forte esprime tutto l’amore nei confronti della donna, mette in risalto ogni sfumatura del libretto e tratteggia accuratamente la psicologia del personaggio); toccante risulta inoltre il giuramento del terzo atto che prelude al momento in cui verrà giustiziato: il trasporto e la generosità nell’emissione trasmettono perfettamente al pubblico la rassegnata disperazione di Roberto.
Non del tutto convincente è stata invece l’interpretazione del baritono Andrea Borghini, impegnato nel ruolo di Nottingham. Spesso infatti, soprattutto nei cantabili, risulta poco espressivo e talvolta viene coperto dall’orchestra; riprende comunque vigore nella seconda parte dello spettacolo, quando l’immergersi nell’uomo tradito e desideroso di vendetta lo porta, anche vocalmente, a lasciare libero sfogo al suo strumento.
Insieme al Coro, diretto da Ciro Visco, e all’Orchestra del Teatro Massimo, sapientemente diretta da Roberto Abbado, completano il cast Carmine Riccio, un Lord Cecil preciso e dalla voce squillante, Ugo Guagliardo, che, nel ruolo di Gualtiero, colpisce per bellezza del timbro e comprensibilità del testo, insieme ai precisi Federico Cucinotta, nel ruolo del paggio, e Antonio Corbisiero, che interpreta un familiare di Nottingham.
La recensione si riferisce alla recita del 22 marzo 2022.
Federica Faldetta