Elisabetta | Yolanda Auyanet |
Sara | Vasilisa Berzhanskaya |
Roberto Devereux | John Osborn |
Nottingham | Davide Luciano |
Lord Cecil | Carmine Riccio |
Gualtiero | Ugo Guagliardo |
Un paggio | Federico Cucinotta |
Un famigliare di Nottingham | Antonio Corbisiero |
Direttore | Roberto Abbado |
Regia | |
Assistente alla regia e azioni mimiche | Anna Maria Bruzzese |
Scene e costumi | Madeleine Boyd |
Luci | Matt Haskins |
Ripresa luci | Teresa Nagel |
Maestro del coro | Ciro Visco |
Orchestra e Coro del Teatro Massimo | |
Allestimento della Welsh National Opera |
Ritorna a Palermo Roberto Devereux, ed è un’assenza quasi trentennale, nell’allestimento della Welsh National Opera a firma di Alessandro Talevi e con il governo di Roberto Abbado sul podio del Teatro Massimo.
Opera dalle tinte fosche spinte sulle ali di un romanticismo musicale oppressivo, intrisa della disperazione soffocante che attanagliava Donizetti per via delle disgrazie familiari e financo professionali quali la mancata nomina a direttore del Conservatorio di Napoli, l’epopea dell’infelice Elisabetta tradita dall’amante Conte di Essex si raccoglie attorno al periglioso equilibrio tra ragion di stato e affetti privati.
Fiammeggiante nell’abito rosso stretto dal nero corpetto che simboleggia la rigidità delle convenzioni di corte alle quali tutti devono sottostare, la collerica regina donizettiana è qui attorniata da consiglieri infidi e dame soccombenti a matrimoni di convenienza quali la rivale in amore Sara data invece in sposa al Duca di Nottingham. A tal scopo Talevi concepisce una messa in scena che fa dell’aspetto claustrofobico il tratto distintivo servendosi dell’art direction di Madeleine Boyd, alla quale si devono anche i costumi, e delle molte ombre dalle quali scaturiscono fonti di luce ora lattescenti ora scialitiche a cura di Matt Haskins. Un’ampia vetrata separa il proscenio, luogo deputato allo svolgersi dell’azione tra ariosi, duetti, terzetti e interventi del coro, da ambiti nei quali il non detto e i complotti fanno da contraltare a quanto avviene di fronte allo spettatore. Tutto è soffocante, preda di sentimenti estremi e violenti che rimandano alla tradizione del romanzo gotico. Una lugubre teca contenente un aracnide, poi mutato in farfalla, sottolinea la duplicità dei sentimenti contrastanti di Elisabetta il cui furore prenderà il sopravvento diventando una gigantesca vedova nera, vera macchina scenica in cima alla quale la sovrana imporrà l’implacabile volontà di vendetta.
L’allestimento sottolinea di fatto il disincanto del dramma romantico e la psicologia tormentata della vera protagonista dell’opera ed è in completo accordo con la concertazione nervosa e altamente teatrale di Roberto Abbado che imprime vibratilità e pulsazioni brucianti alla scrittura musicale, garantendo al contempo giusto sostegno al canto e sostanziale equilibrio tra buca e palcoscenico. A suggello di ciò appare ancora più apprezzabile la scelta di presentare la partitura in tutta la sua interezza compresa la sinfonia sul tema di God save the Queen, composta per la successiva versione parigina, e i da capo.
Il cast vede in prima linea Yolanda Auyanet, accorsa in soccorso della produzione palermitana dopo il forfait di Maria Agresta trovatasi in mezzo al valzer russofobo del Teatro alla Scala. Il soprano spagnolo conferisce al temibile personaggio di Elisabetta l’ardore violento della donna non più giovane, temuta eppure tradita, che si tramuta in fiondate estreme all’acuto e salti di ottava che, se mettono un po’ alle corde il registro grave, mostrano però centri robusti e una tempra combattiva che nemmeno nei momenti di bruciante malinconia quali Vivi ingrato cedono alla totale disperazione. La sua è una regina che nell’intimo vede la sconfitta e la necessità dell’abdicazione, ma che stenta ad accettare il declino.
Accanto a lei nel ruolo eponimo John Osborn mette in mostra tecnica ferrea e legato impeccabile che concorrono alla definizione di un personaggio il cui ardore si sublima in splendide mezze voci e in una scena della prigione nella quale il fraseggio miniato fa di Roberto un vero eroe romantico. La vocalità si fa espressiva, colma com’è di impercettibili sottigliezze, quasi un vero manifesto dello stile donizettiano.
Amico e poi acerrimo nemico il Nottingham di Davide Luciano piega il bello strumento dall’emissione salda prima alla difesa appassionata di Essex e poi alla sanguigna gelosia di marito tradito, sia pure col pensiero. Fiero nell’accento, contribuisce alla bruciante esecuzione del grande terzetto del secondo atto ed è nondimeno implacabile nell’invettiva contro la moglie qui interpretata da Vasilisa Berzhanskaya. Il giovane mezzosoprano sfoggia tecnica ragguardevole e notevole capacità di canto sfogato in alto, ma è anche capace di accentare con gusto restituendo un personaggio dolente che rifugge da facili patetismi e il cui canto scolpito nei rispettivi duetti con i due protagonisti maschili scatena l’entusiasmo del pubblico palermitano alle chiamate finali.
A completare la piena riuscita di uno spettacolo dai tratti noir contribuiscono Carmine Riccio, Cecil, Ugo Guagliardo, Gualtiero, e il coro guidato da Ciro Visco, vero punto di forza delle masse artistiche del teatro (qui la recensione del cast alternativo del 22 marzo 2022).
La recensione si riferisce alla prima del 20 Marzo 2022.
Caterina De Simone