Il conte d'Almaviva | Ruzil Gatin |
Bartolo | Riccardo Novaro |
Rosina | Michela Antenucci |
Figaro | Simone Del Savio |
Basilio | Guido Loconsolo |
Berta | Victoria Pitts |
Fiorello Un ufficiale |
Roberto Maietta |
Ambrogio | Julien Lambert |
Direttore | Leonardo Sini |
Regia | Fabio Cherstich |
Scene | Nicolas Bovey |
Asisstente alle scene | Eleonora De Leo |
Costumi | Arthur Arbesser |
Assistente ai costumi | Virginia Ratti |
Luci | Marco Giusti |
Maestro del Coro | Martino Faggiani |
Filarmonica dell'Opera Italiana Bruno Bartoletti | |
Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia |
A un anno di distanza dal suo debutto in streaming (recensita per la nostra rivista da Patrizia Monteverdi), la produzione de Il barbiere di Siviglia nata in seno a Reggio Emilia e Modena vede finalmente il pubblico presente in sala, che, nel caso dell’ultima replica dell’opera al Teatro Comunale Pavarotti-Freni, riempiva ogni ordine di posto.
Lo spettacolo di Fabio Cherstich (che collabora con Nicolas Bovey alle scene, Arthur Arbesser ai costumi e Marco Giusti alle luci) abbandona ogni pretesa di realismo e aderenza alle coordinate cronologiche e geografiche del libretto, e questo è il maggior punto di forza della sua regia: il capolavoro comico di Rossini viene riletto in chiave surrealista-dadaista, con una sfilza continua ma mai scontata e ripetitiva di ingressi di macchinari, oggetti ingigantiti, cartelli e simboli che rimandano o rievocano la vicenda in atto.
Ecco così che “la bella aurora” vagheggiata da Almaviva è una sfera da discoteca calata dall’alto che trasforma il Comunale in un turbinio di stelle. Nel “Largo al factotum” entra in scena un insegna al neon che disegna un paio di forbici con delle sinuose gambe femminili al posto delle lame. Rosina, trattata ancora come una bambina, è evocata da un cavallo a dondolo che appare già nella serenata di Lindoro. Non mi dilungo nell’elenco, ma ognuno di questi oggetti, minuscoli o enormi, ha una sua pregnanza e carica teatrale.
Non voglio dare l’idea che lo spettacolo si sia limitato a una sfilata di macchine sceniche sgargianti e barocche: il lavoro di recitazione sugli interpreti è ben rifinito ed essi assecondano benissimo lo spirito psichedelico ma mai nonsense della regia. Bartolo è un vecchio ripugnante che, con tutta probabilità, ha allungato più volte le mani sulla povera Rosina. Basilio, nonostante il suo abito talare, emerge dal palcoscenico come fosse Mefistofele. Berta spia e osserva ogni cosa ma, appena può, si nasconde nel frigorifero per ubriacarsi indisturbata. Non ci sono gesti o sguardi che sono lasciati al caso: tutto è perfettamente misurato e calibrato in un macchinario teatrale preciso e ben organizzato.
Leonardo Sini, alla guida dell’orchestra Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti, tiene saldo il dialogo tra buca e palcoscenico, con un cipiglio marziale e spumeggiante che ben si adatta all’opera di Rossini. Musicalmente parlando, insomma, le cose funzionano benissimo; non voglio entrare qui nel merito di eventuali discussioni filologiche (soprattutto per quanto riguarda la scelta di una Rosina sopranile, oltre i consueti tagli ad alcuni da capo e ai recitativi), dato che, visto l’esito più che positivo della produzione e del gradimento del pubblico, in questa sede sono più che mai sterili e futili. Bene anche l’apporto di Elisa Montipò ai recitativi, in cui non viene mai meno la tensione drammaturgica.
Il cast è dominato da Ruzil Gatin quale Almaviva. Il tenore russo, ad onta di una dizione perfettibile che inficia la comprensione di qualche recitativo, è pienamente a suo agio con il personaggio: la voce, cristallina e ben proiettata, sgrana agilità precise e fiati suadenti senza colpo ferire. Ben risolto il rondò “Cessa di più resistere”, brano, come noto, solitamente tagliato per le difficoltà esecutive.
Piace Simone Del Savio, un Figaro muscolare e istrionico, il cui costume da matador è l’unico retaggio spagnoleggiante dell’opera. Il suo è un barbiere sicuro di sé, persino distaccato, reso come una star di Siviglia intervistato e inseguito dai paparazzi durante il suo brano d’esordio.
Michela Antenucci è una Rosina petulante, che affronta bene gli ampi sbalzi di registro del ruolo, segnalandosi con degli acuti molto puliti e con dei suoni gravi e centrali ben robusti.
Riccardo Novaro disegna un Bartolo spietato, cinico e irridente, ripulito da ogni caccola di tradizione.
Bene il Basilio demoniaco di Guido Loconsolo, dallo strumento vocale robusto e sonoro di cui fa bello sfoggio nella Calunnia e nel Finale primo in cui svetta sui colleghi.
Un lusso Victoria Pitts nei panni di una Berta sprezzante e puntigliosa, dalla voce corposa e brunita.
Completa il cast il corretto e compiaciuto Roberto Maietta nei panni di Fiorello e dell’ufficiale.
Ottimo l’apporto dei mimi, incaricati di portare in scena e manovrare i macchinari, e del bravissimo Julien Lambert nei panni di un Ambrogio funambolico e onnipresente.
Gli artisti del Coro Claudio Merula di Reggio Emilia, preparati da Martino Faggiani, si dimostrano precisi e molto disinvolti scenicamente.
Pubblico divertito e prodigo di applausi. Un autentico trionfo, con tanto di ovazioni a ogni membro del cast, suggellava il felice esito di questa produzione.
La recensione si riferisce alla recita di domenica 3 aprile 2022.
Martino Pinali