Filippo II | Michele Pertusi |
Don Carlo | Piero Pretti |
Rodrigo | Ernesto Petti |
Il grande inquisitore | Ramaz Chikviladze |
Un frate | Andrea Pellegrini |
Elisabetta di Valois | Anna Pirozzi |
La principessa Eboli | Teresa Romano |
Tebaldo Una voce dal cielo |
Michela Antenucci |
Il Conte di Lerma L'araldo reale |
Andrea Galli |
Direttore | Jordi Bernàcer |
Regia | Joseph Franconi-Lee |
Regista collaboratore e movimenti scenici | Daniela Zedda |
Scene e costumi | Alessandro Ciammarughi |
Assistente ai costumi | Letizia Parlanti |
Luci | Claudio Schmid |
Maestro del Coro | Giovanni Farina |
Orchestra dell'Emilia-Romagna Arturo Toscanini | |
Coro Lirico di Modena |
Prima di entrare nel vivo della recensione del Don Carlo andato in scena a Modena trovo doverosa una riflessione introduttiva. Quella partita dal Teatro Comunale Pavarotti-Freni è la prima di tre produzioni dell'opera rappresentate a cavallo tra novembre e dicembre concentrate in aree geografiche non troppo distanti l'una dall'altra: oltre all'Emilia Romagna (dopo Modena, Piacenza, Reggio Emilia e Rimini), il circuito lirico lombardo (con Pavia capofila e a seguire Cremona, Brescia e Como) e infine l'inaugurazione della Stagione 2023/2024 al Teatro alla Scala.
Se l'anno del centenario della morte di Puccini "giustifica" in qualche maniera la bulimia di Bohème, Tosca e Turandot (ma anche Rondine) un po' ovunque per la penisola, non ricorre nessuna commemorazione particolare legata a Don Carlo che possa spiegare il motivo di un ciclo di rappresentazioni così ravvicinate e pressoché contemporanee se non quello di una probabile mancanza di comunicazione tra le direzioni artistiche dei rispettivi teatri.
A colmare la misura è la scelta di rappresentare in tutti e tre i contesti la versione milanese, in quattro atti e senza la scena di Fontainebleau: per quanto si scomodi sempre l'autorizzazione dello stesso Verdi al taglio, ricercando una simmetria forzosa con l'apertura e la chiusura dell'opera nello stesso spazio (il chiostro di San Giusto), è innegabile che togliendo il momento-chiave dell'accettazione da parte di Elisabetta delle nozze con Filippo si sminuisca la portata della tragedia umana dei protagonisti.
Questo Don Carlo modenese "monco", comunque, funziona molto bene, merito dell'allestimento già collaudato di Joseph Franconi-Lee che si avvale delle scene e dei costumi d'epoca di Alessandro Ciammarughi. Colpiscono soprattutto i numerosi colpi d'occhio ad apertura del sipario, dove la felice combinazione delle luci di Claudio Schmid fa risaltare le scene notturne della tomba di Carlo V e della stanza privata di Filippo. In sintesi, una produzione di impianto tradizionale che però qui non è sinonimo di "invecchiato male e ripreso peggio": a parte qualche ingenuità nelle scene di massa e i cambiscena che spezzano la narrazione teatrale, l'allestimento è di presa sicura sul pubblico e regge ancora molto bene.
Musicalmente parlando, Jordi Bernàcer non va troppo per il sottile ricavando dall'Orchestra dell'Emilia Romagna Arturo Toscanini dinamiche spedite e colori squillanti; dopo i primi cinque minuti di assestamento in cui la tendenza era quella di sovrastare quanto cantato sul palco, viene trovato il giusto equilibrio e la direzione prosegue sempre veloce ma non priva di spessore drammatico.
La prestazione della compagnia di canto, che vede impegnati alcuni degli interpreti della registrazione in streaming dell'opera in pieno Covid, si rivela di buon livello, a cominciare da Piero Pretti che rende tutto il tormento del protagonista con voce ben sostenuta e proiettata, tanto irruente quanto malinconica.
Michele Pertusi ripropone il suo collaudato Filippo II rivelandosi ancora una volta uno degli attuali interpreti di riferimento, esibendo un registro grave corposo e autorevole. Qualche tentazione di trasformare alcune brevi frasi in un declamato fin troppo vibrante ("Ti guarda", "Non più, Frate") non intacca l'esito di un'esibizione di buon livello e che scatena l'entusiasmo del pubblico.
Trascinante anche l'Elisabetta di Anna Pirozzi al debutto scenico nella parte, si impone ancora una volta per una voce morbida e piena riuscendola a piegare in accenti di abbandono e malinconia nelle due arie e nel duetto con Carlo.
Il Rodrigo di Ernesto Petti, anch'esso particolarmente sonoro e ben centrato, si rivela un po' avaro di sfumature e piuttosto algido sia nei confronti dell'amato Carlo che di Filippo.
Alle prese con il ruolo di Eboli, Teresa Romano esibisce con dovizia e facilità un'ampia estensione vocale, particolarmente corposa nei gravi e squillante negli acuti, peccando unicamente di qualche affondo irruente nei passaggi più concitati.
Ramaz Chikviladze non difetta di un vocione ideale per il Grande inquisitore, esibendo solo qualche lieve asperità nella dizione italiana.
Adeguati nei loro interventi Andrea Pellegrini (Frate), Michela Antenucci (Tebaldo e Voce dal cielo) e Andrea Galli (Conte di Lerma e Araldo reale).
Poco incisivi gli interventi del Coro Lirico di Modena, che mi è sembrato a ranghi più ridotti di quanto non richiederebbe l'opera.
Teatro gremito e generoso di applausi all'indirizzo di direttore, team registico e di tutti gli interpreti, di cui vengono particolarmente festeggiati Romano, Petti, Pertusi e Pirozzi.
La recensione si riferisce alla prima del 3 novembre 2023.
Martino Pinali