Thaïs | Marina Rebeka |
Athanaël | Lucas Meachem |
Nicias | Giovanni Sala |
Crobyle | Caterina Sala |
Myrtale | Anna-Doris Capitelli |
Albine | Valentina Pluzhnikova |
Charmeuse | Federica Guida |
Palémon | Insung sim |
Un servitore | Jorge Martinez |
Cenobiti | Luigi Albani |
Renis Hyka | |
Michele Mauro | |
Andrea Semeraro | |
Massimo Pagano | |
Giorgio Valerio | |
Ballerini solisti | Emanuela Montanari |
Massimo Garon | |
Violino solista | Laura Marzadori |
Direttore | Lorenzo Viotti |
Regia | Oliver Py |
Aiuto regista | Ivo Bauchiero |
Scene e costumi | Pierre André Weitz |
Assistente scenografo | Pierre Lebon |
Assitente costumista | Mathieu Crescence |
Luci | Bertrand Killy |
Coreografia | Ivo Bauchiero |
Direttore del Coro | Alberto Malazzi |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala | |
Nuova produzione del Teatro alla Scala |
L’opera è intrisa di decadentismo, senza dubbio, in cui si scontrano il sacro e il profano, eppure sarebbe un grande errore pensare solo ad uno scontro tra un santo integralista (o presunto tale) e una semplice puttana. Anatole France, che scrisse il romanzo omonimo, ebbe un successo straordinario, perché con felicissimo taglio narrativo e stile superbo raccontò certamente di peccato e redenzione, di carne e spirito, di misticismo e materialismo ma soprattutto con una sottile ironia corrosiva dell’ascetismo, visto come espressione sgradevole dell’ipocrisia vestita di fanatismo religioso. Tutto questo lo si ritrova a pieno titolo nella musica di Massenet, misteriosa, sobria e languida al contempo, sensuale ed esotica, allusiva ma anche tanto romantica, che descrive i contrasti dei sentimenti ma anche le diverse atmosfere dei luoghi oltre che articolarsi in una struttura “a clessidra”, che descrive cioè alla perfezione i due destini opposti: Athanaël dalla santità sprofonda nella lussuria, mentre Thaïs dal peccato ascende alla redenzione. Il monaco appare alla lunga un represso sessuale, tanto fondamentalista da non comprendere e aborrire la bella cortigiana che non è solo dedita al sesso libero ma fa parte di una cerchia di letterati, filosofi ed intellettuali, basati ad Alessandria d’Egitto, prima di tutto la sede della celeberrima Biblioteca, custode di ogni forma di civiltà del pensiero. La materia è alquanto accattivante e facilmente riproducibile anche per l’oggi. Come ci fa intendere anche il regista Olivier Py, sparigliando un po’ tanto le carte, suscitando tra l’altro qualche perplessità, come vedremo più avanti.
Lorenzo Viotti coglie perfettamente l’atmosfera decadente ma non dimentica il romanticismo descrittivo e sentimentale nella sua intensa concertazione, rimanendo in magistrale equilibrio tra la morbidezza delle linee musicali, il ricchissimo cromatismo e la tensione drammatica senza ricorrere ad una ipertrofia di volumi e soprattutto senza abbondare in sfinimenti languorosi, la cosa gli consente di accompagnare il canto in maniera esemplare. Il decadentismo intride tutte le pagine sinfoniche: quelle dei sogni e degli incubi trasgressivi, nonché le tentazioni di Athanaël (come la visione di Thaïs e la meditazione o il preludio al terzo atto), che questa sera acquistano una rilevanza particolare per levità, tenerezza, grazia ed un assorto lirismo (un plauso particolare va alla violinista solista Laura Marzadori, eccellente interprete della meditazione). Sogni e tentazioni che contrastano con l’atmosfera magnificamente illustrata, all’apertura dell’opera, dalle inflessioni e dai toni rarefatti e modaleggianti che evocano la serenità austera di una comunità, per Py non monastica, a sua volta in contrasto con la baldanzosa, lussureggiante e vitalistica descrizione di Babilonia, la città del piacere. La distaccata leggerezza, con esotismo orientaleggiante, torna a far capolino nel preludio al secondo duetto Thaïs-Athanaël, evidenziata dal corno inglese, dall’oboe, dal tamburo arabo e dal glockenspiel. Mentre tumultuoso e drammatico esplode nel finale secondo l’inevitabile “combattimento” tra il sacro e il profano, tra la violenta e solenne conversione imposta da Athanaël e la corte dionisiaca di Nicias. Vorremmo mettere in risalto anche la bravura del direttore nel dosaggio dei contrasti tra la squillante e drammatica tempesta dell’ultimo atto, tempesta ovviamente esplosa per la furia della natura ma che imperversa nel cuore di Athanaël, delirante e adorante, e il devoto salmodiare delle donne pie ma non monache, mentre il motivo ricorrente della meditazione assurge ad emblema dell’acquisita redenzione e salvezza di Thaïs.
Da ultimo il divertissement appropriatamente suona ora brillante, ora sensuale ed anche delicato.
Alberto Malazzi guida con mano sicura il coro alle prese da un lato con la tranquilla austerità di inizio opera e l’entusiasmo un po’ frivolo e fracassone dei commedianti al seguito dell’epicureo Nicias dall’altro. Ma da rimarcare il drammatico e tumultuoso finale secondo mentre va a fuoco la casa di Thaïs e la serena atmosfera imbastita al cospetto della protagonista morente.
Marina Rebeka si conferma una solida Thaïs, ruolo già interpretato in passato. La tecnica agguerrita le consente, con l’omogeneità di emissione, una espressività che tocca tutte le corde del personaggio, venendo a capo anche delle asperità di scrittura che si spingono, con note di grande effetto, fino al Re sovracuto ma poi in diretta sequenza affondano fino al Si sotto il rigo per ben due volte, come nel finale emozionante. Mezzevoci, filati, attacchi in piano, trilli, portamenti e chiaroscuri sono messi in bella mostra un po’ dappertutto. Sin dall’ingresso sfoggia in “C’est Thaïs, l’idole fragile” sensualità ed erotismo, nell’arietta “Qui te fait si sévère” grazia e seducente ironia con leggerezza, in un canto apparentato ad una vera ninnananna cullante ed ammaliante. Nella bellissima aria du miroir “Dis-moi que je suis belle” si dilunga in una riflessione convincente sulla caducità della vita, tra qualche dubbio ed inquietudine ma anche con tanta passionalità, e di bell’effetto è anche il bel Sol acuto in piano a “réponds-moi” e un altro bel luccicante Re sovracuto alla chiusa dell’aria. I duetti con Athanaël sono tutti al calor bianco. All’inizio perdura la provocante ironia ma poi sotto l’incalzare dell’asceta palesa lo spavento e la fragilità. Fragilità che nell’arietta “L’amour est une vertu rare” diviene la cifra interpretativa giusta per un addio tenero alla voluttà, declinato con un canto assai raffinato.
Lucas Meachem convince a pieno come Athanaël. Ruolo assai impegnativo più che per l’estensione per le doti richieste di particolare vigore e resistenza, essendo chiamato a sostenere lunghi tratti di canto declamato spesso nel registro acuto, che si spinge più volte verso il Fa acuto. I validi chiaroscuri esibiti, con dovizia di mezzevoci, gli consentono di esprimersi con variegata espressività. Nell’arietta di narrazione non nasconde il turbamento che gli ha sempre suscitato la visione della bella Thaïs, nell’inno “Toi qui mis la pitié dans nos âmes” dimostra di essere già ossessionato e per questo si abbandona ad una appassionata preghiera che lo preservi dalle tentazioni. Nell’arioso “Voilà donc la terrible cité” si scaglia con odio contro la bellezza, l’opulenza e la voluttà di Alessandria ma poi nel cantabile chiede il conforto del cielo per redimere la peccatrice con bella morbidezza di emissione. Il suo canto vive tutto su scarti espressivi: ostinatezza, austerità, sin aggressività ma sa anche impietosirsi e addolcirsi, commosso ed adorante, per la trasformazione della donna. Nel finale, schiavo dell’infatuazione, si abbandona ad una delirante disperazione.
Giovanni Sala è Nicias, un ruolo che richiede la capacità di cantare con eleganza e leggerezza, che il tenore assolve con bravura. E se gli acuti sono solo discreti soprattutto nello slancio nostalgico ed appassionato durante l’addio a Thaïs nel finale secondo, tuttavia si mostra come un personaggio aggraziato, gioviale, qua e là irridente, che sfoggia un lirismo amabile nella evidente delicata devozione alla bella tentatrice, come nel controcanto durante l’aria d’ingresso “C’est Thaïs, l’idole fragile”.
Caterina Sala, Crobyle, e Anna-Doris Capitelli, Myrtale, sono accomunate dal tema delle schiave, tutto gorgheggi esotici e brillanti. Si fanno apprezzare anche per un canto raffinato nel divertissement danzante.
Alle prese con una tessitura acuta che la porta fino al Re sovracuto, Federica Guida è una eccellente Charmeuse. Impegnata altresì in colorature lievi, arabescate ed ammalianti.
Valentina Pluzhnikova è Albine, a suo agio nella calma devozionale esposta nel ruolo della responsabile delle pie donne.
Il Palémon di Insung Sim risulta credibile nel composto paternalismo sfoggiato per dissuadere il confratello un po’ troppo fanatico.
Corretti nei ruoli inediti di poveri affamati: Luigi Albani, Renis Hyka, Michele Mauro, Andrea Semeraro, Massimo Pagano e Giorgio Valerio.
Jorge Martinez è il servitore scorbutico e manesco.
La messa in scena ha invero tanti protagonisti.
Il regista Olivier Py si avvale dell’aiuto regista anche coreografo Ivo Bauchiero. Pierre André Weitz è l’autore di scene e costumi, a sua volta coadiuvato dall’assistente scenografo Pierre Lebon e dall’assistente costumista Mathieu Crescence. Le luci contrastanti, dal grigio cupo allo sfavillante rosso fuoco, sono di Bertrand Killy.
Py traspone la storia ad un oggi vago dove però non mancano le contrapposizioni: peccato e redenzione, eros e tanathos, carne e spirito sono tutte evidenziate ma trasforma i cenobiti e le monache in operatori dell’esercito della salvezza, gli uni aiutano alla mensa dei poveri affamati o sono loro stessi i derelitti e le altre le donne in difficoltà. Tuttavia c’è anche una piccola allusione alla spiritualità con una chiesetta stilizzata e croce luminosa, anche se un po’ defilata sulla scena, mentre nulla traspare della devozione a Venus da parte della cortigiana. Athanaël prega molto, sdraiato prono come un sacerdote o un monaco nell’atto della consacrazione, con braccia aperte in croce. Deve combattere con una città ridotta solo ad un postribolo, anche se di lusso, dove prostitute e prostituti pressoché nudi cercano in tutti i modi di conquistarlo alla passione carnale. Non manca una spruzzata di blasfemia con una ballerina nuda elevata in croce, visione che già Pierluigi Pizzi a Venezia aveva evocato nel passato. Sconvolgente è quindi passare da un ambiente claustrofobico e cupo, fatto di mattoni grigi e cielo plumbeo con una scritta ammonitrice “libera me domine de morte aeterna” ad illustrare il lato triste della vita, pieno di disperazione e fame, ad uno ricco di luci e di colori, di voglia di vivere, abbagliante di rosso, come le ruote girevoli di un luna park o come le parrucche delle puttane e il vestito di Thaïs, angelo della tentazione, presentata da Nicias come una vera star. Campeggia sulla “casa del piacere” l’incipit della Divina Commedia “Nel mezzo del cammin…”, in rosso smagliante ovviamente. Onnipresente in scena un ballerino in frac rosso, chiara allusione all’eros, a cui non è indifferente nemmeno Nicias, gay ed epicureo, in frac nero ricco di lustrini e scarpe rosse con tacchi, amante un po’ di tutti, come dimostrano le giravolte nel lettone con Crobyle e Myrtale, mentre al piano sottostante si gozzoviglia alla grande. La morte, scopriremo poi essere la charmeuse, vaga in scena in maniera sensuale ed inquietante, ed intorno al letto di Thaïs morente nel finale.
Durante la meditazione i ballerini Emanuela Montanari e Massimo Garon, su coreografia di Ivo Bauchiero, ci dilettano con sinuose figure che evocano amore, passione, dolore e morte.
Ma anche il divertissement danzante non delude con la charmeuse-angelo della morte che stermina tutti i peccatori durante un vivacissimo e drammatico finale, in cui è Thaïs ad appiccare il fuoco alla sua magione.
Athanaël, al terzo atto, vinto dalla passione tenta di baciare Thaïs prima della separazione. Scoppia la tempesta, sinonimo della pace perduta dal “santo” uomo, mentre le luci lunari squarciano il grigio opprimente, con il fondale arricchito di alberi contorti ed incombenti. L’ulteriore visione-incubo vira nell’horror con l’apparizione di mostri e di donne e uomini nudi ed assatanati che nuovamente tentano nella carne il povero protagonista tra lo sfavillio delle luci infuocate. La morte serena di Thaïs, nel buio quasi totale, lascia al contrario nell’angoscia inconsolabile Athanaël, più uomo terra terra che santo.
Successo finale e meritato per tutti i protagonisti, soprattutto per Rebeka, Meachen, Giovanni Sala e il direttore Viotti. Degli autori della messa in scena è apparso al proscenio solo l’estroso regista Py, che comunque ha raccolto applausi convinti.
La recensione si riferisce alla prima del 10 febbraio 2022.
Ugo Malasoma