Soprano | Erin Morley |
Contralto | Anna Larsson |
Direttore | Riccardo Chailly |
Maestro del Coro | Alberto Malazzi |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala |
La Sinfonia n. 2 in do minore costituisce uno dei nodi nella produzione del primo Mahler, in cui il compositore non solo convoglia i principali connotati dei lavori precedenti e della propria poetica tout court, ma giunge a conseguenze difficilmente presagibili alla luce di quanto già scritto, Sinfonia n. 1 inclusa. Tra le sue pagine si ritrovano gli echi dei Lieder eines fahrenden Gesellen e della cantata Das klagende Lied, ma soprattutto i più tangibili riflessi dei Lieder del Knaben Wunderhorn (da cui Mahler estrae Des Antonius von Padua Fischpredigt e Urlicht) e della Prima Sinfonia; appaiono inoltre con rinnovata potenza alcuni dei temi caratteristici dell’imaginarium mahleriano: la presenza costante della morte, la celebrazione di un «mondo di ieri» sempre più prossimo al tramonto, i richiami all’infanzia, le apparizioni di fanfare e bande militari, la sensibilità per lo spirituale e il ritualistico.
Da questo grandioso mosaico, tenacemente composito, Riccardo Chailly riesce a trarre un’esecuzione connotata da singolare coerenza, e non è retorica: nel mare magnum del dell’iniziale Todtenfeier, inquieta e tormentata come le sue origini (prima movimento iniziale di una Sinfonia, poi autonomo poema sinfonico e di nuovo incipit di una grande Sinfonia) non è affatto semplice fornire una lettura tanto lucida e compatta, che non si lasci sviare dalle contorsioni e dai bruschi cambi di rotta di un materiale che Mahler presenta con apparente scarsa organicità. Naturalmente esiste anche una difficoltà obiettiva in questo lavoro, che è la difficoltà incontrata dall’autore nella composizione e che si riflette in alcuni dei suoi connotati strutturali, in special modo nei primi due movimenti. Il lavoro sulla partitura per mano di Chailly però non si ferma alla proposizione di una risultante uditiva concettualmente chiara in cui trovano la giusta collocazione anche le più dure asperità sintattiche, ma in cui viene sommamente chiarito il percorso spirituale che Gustav Mahler ha tracciato nella Seconda Sinfonia, un percorso e un’architettura stranamente congruenti a quelli della Waste Land di T. S. Eliot (a cui si aggiunge la favorevole coincidenza dell’articolazione di entrambi in cinque sezioni, movimenti da una parte e canti dall’altra). È arcinota la dichiarazione del compositore a proposito del senso di questa sua fatica sinfonica: «Se lo vuol sapere, è l’eroe della mia sinfonia in re maggiore che accompagno alla tomba, cogliendo il riflesso della sua vita in uno specchio limpido, da un alto osservatorio». Il primo movimento, la Todtenfeier per l’appunto, è consacrato al contenuto luttuoso in senso stretto mentre i due successivi – l’Andante moderato e il meraviglioso Scherzo – possono essere ricondotti a una concatenazione di scene di vita su cui comunque aleggia la consapevolezza della morte. In questo è forte l’analogia con il poemetto eliotiano dove i primi tre canti sono gravati da un’opprimente senso di paralisi, mentre nel breve quarto canto Death by water inizia a muoversi qualcosa; allo stesso modo nel quarto breve movimento della Sinfonia si compie un primo passo importante nell’uscire dalla stasi della contemplazione del lutto e del ricordo per poi giungere alla finale liberazione, da una parte con il quinto movimento culminante con il corale "Aufersteh'n" dall’altra con il conclusivo "What the thunder said". Quasi sicuramente si tratta di coincidenze non intenzionali, eppure è difficile dimenticare la competenza di Eliot in ambito musicale (basti ricordare a questo proposito i Four quartets scritti a imitazione dei quartetti d’archi beethoveniani).
Per lucidità nella lettura, perspicacia e profondità nella comprensione dello spirito del compositore ed eleganza nell’esecuzione Riccardo Chailly si conferma uno degli interpreti mahleriani più interessanti all’attivo nel panorama nazionale e internazionale, dimostrando peraltro un controllo impeccabile in ogni momento della partitura. L’Orchestra del Teatro alla Scala si produce in un’interpretazione eccellente e con una particolare attenzione al colore, unica pecca alcune episodiche scollature tra gli archi che hanno riguardato soprattutto primo e terzo movimento; rimarchevoli gli interventi dei contrabbassi, degli ottoni e della banda “fuori scena”. Il Coro del Teatro alla Scala, preparato da Alberto Malazzi, in questo contesto rappresenta una nota di pregio e i bassi che intonano il sib grave sono la quintessenza del godereccio acustico. Prova corretta da parte delle due soliste Erin Morley e Anna Larsson, che però non attraggono molto l’attenzione né per timbro né per coinvolgimento.
In conclusione l’esecuzione è più che riuscita, memorabile, assai apprezzata dal pubblico che tributa lunghi applausi agli interpreti e al loro direttore.
La recensione si riferisce al concerto del 30 marzo 2022.
Luca Fialdini