Leonora | Anna Netrebko |
Don Alvaro | Brian Jagde |
Don Carlo di Vargas | Ludovic Tézier |
Padre guardiano | Alexander Vinogradov |
Fra' Melitone | Marco Filippo Romano |
Preziosilla | Vasilisa Berzhanskaya |
Mastro Trabuco | Carlo Bosi |
Il Marchese di Calatrava | Fabrizio Beggi |
Curra | Marcela Rahal |
Un Alcade | Huanhong Li |
Un chirurgo | Xhieldo Hyseni * |
Soli dal Coro | Silvia Mapelli, Massimiliano Difino, Michele Mauro, Mariano Sanfilippo, Guillermo Esteban Bussolini, Giuseppe Capoferri |
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Leo Muscato |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Alessandro Verazzi |
Coreografia | Michela Lucenti |
Maestro del Coro | Alberto Malazzi |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala | |
Nuova produzione del Teatro alla Scala | |
*Allievo dell'Accademia del Teatro alla Scala |
Per risalire ad una inaugurazione scaligera con La forza del destino bisogna scorrere la cronologia della Scala sino alla Prima del 7 dicembre 1965 avvenuta sotto la bacchetta di Gianandrea Gavazzeni. Poi, se si fa eccezione per l'edizione portata in scena dai complessi del Mariinsky in tournée nel 2001 e per l'edizione diretta da Riccardo Muti nel 1999, l'opera è stata assente dal Teatro milanese per molti anni; forse troppi.
Dopo la Giovanna d'Arco, Giuseppe Verdi per un certo periodo non scrisse più musica appositamente per la Scala ritenendo che questo teatro non fosse più adatto, per vari motivi, a rappresentare le sue opere. L'occasione si ripresentò nel 1869 quando il Cigno di Busseto, appositamente per Milano, rimise mano alla versione de La forza del destino, scritta nel 1862 per il Teatro di San Pietroburgo, arricchendola di pagine fondamentali: la sinfonia iniziale, la scena della ronda del coro maschile nel III atto e il nuovo finale con il trio Padre Guardiano, Leonora e Alvaro (con la chiosa dei lievissimi accordi finali sui quali si chiude l'opera). Da quel momento ricomincia la stretta collaborazione tra il Teatro milanese e Giuseppe Verdi che scriverà in seguito appositamente per la Scala: Aida (versione rivista dopo la rappresentazione a Il Cairo), Don Carlo, Otello e Falstaff.
Questo 7 dicembre, dedicato a Renata Tebaldi nel ventennale dalla sua morte, ha reso onore al capolavoro verdiano. In barba alle difficoltà dovute anche alla frammentarietà del libretto, lo spettacolo è riuscito davvero appagante, nonosante il forfait dell'inizialmente previsto Jonas Kaufmann come don Alvaro. La sera dell'evento una pioggia insistente e fastidiosa ha un po' rovinato il consueto red carpet delle mises all'ingresso del teatro: poca cosa se si pensa alla nomea di “opera porta sfortuna” che il titolo si trascina negli anni.
La regia è stata affidata a Leo Muscato (vincitore nel 2012 del Premio Abbiati come miglior regista d'opera) al suo primo impegno in una inaugurazione scaligera.
Il regista pugliese ha puntato a cercare un trait d'union per rappresentare una vicenda che nel libretto si dipana nel corso di tantissimi anni (soltanto tra terzo e quarto atto passa un lustro, come esclama Carlo nella scena V del quarto atto). Per farlo focalizza l'attenzione sulla guerra che porta sempre con sé miseria, fame, dolore e disperazione in qualsiasi epoca avvenga. Ecco che allora si parte da un'ambientazione settecentesca nel primo atto per passare a un'ambientazione di metà '800, teatro dei moti rivoluzionari, e a seguire ci si sposta nelle trincee della Prima guerra mondiale per poi arrivare a un campo profughi dei giorni nostri. L'idea è convincente ed effettivamente dà una certa continuità e unità all'azione. Per raggiungere il suo scopo Muscato si è avvalso delle bellissime scene ideate da Federica Parolini, che fa scorrere l'azione su di una piattaforma costantemente rotante su sé stessa. In questo modo le ambientazioni vengono cambiate (nella parte nascosta al pubblico) in tempo reale, sviluppando fortemente l'idea del tempo che passa. Il tutto è completato dai funzionali costumi realizzati da Silvia Aymonino, su toni del grigio che sottolineano la pesantezza della vicenda, e dalle luci sostanzialmente livide di Alessandro Verazzi. Molto suggestiva la scena della vestizione nella “Vergine degli angeli” che riproduce, in un'atmosfera decisamente mistica, l'ingresso nella cripta di Leonora illuminata a simboleggiare la redenzione.
Dopo il forfait di Jonas Kaufmann a ricoprire il ruolo di Alvaro è stato chiamato Brian Jagde, reduce da una Forza del destino andata in scena un mese fa al Liceu di Barcellona.
Al tenore non manca di certo un volume ragguardevole e una innegabile sicurezza negli acuti che risuonano sempre molto proiettati. Però nelle note gravi e centrali l'emissione palesa una certa opacità timbrica. Inoltre, l’interpretazione risulta piuttosto monocorde e avara nel fraseggio, più votata forse a un repertorio verista. Nonostante questo, l’artista americano ha risolto in maniera più che adeguata il suo personaggio riscuotendo un personale successo di pubblico.
Anna Netrebko, pur con qualche eccessivo appesantimento sulle note gravi, ha dato vita in maniera convincente al personaggio di Leonora. La voce del soprano russo, sempre ben proiettata, morbida e da un bel colore brunito, ha saputo piegarsi in filati impalpabili (come nella “Vergine degli angeli”) ma anche sfogare nelle estreme note in acuto mantenendo sempre la rotondità del suono (un esempio su tutti il “Maledizione!”). Inoltre, ha colpito ancora una volta la notevole grinta con cui ha affrontato e superato i passaggi musicalmente più scabrosi della partitura. Una prestazione maiuscola quella della Netrebko per la quale mi sono parsi totalmente ingiustificati i buu finali.
Ludovic Tézier è un concentrato di tutte le qualità che necessitano a un baritono di livello assoluto: voce brunita e morbida, fraseggio nobile e impeccabile, legati e fiati da manuale, ottima proiezione vocale che gli consente di svettare sempre anche nei momenti di maggiore impatto orchestrale. A tutto ciò si aggiunga una ottimale presenza scenica caratterizzata anche dalla nobiltà del portamento. Di gran lunga l'elemento migliore del cast.
Il ruolo di Preziosilla nonostante non sia uno tra i più riusciti a Verdi e racchiuda parecchie difficoltà per la cantante (una sorta di brutta copia di Oscar nel Ballo in maschera) è stato reso in modo ottimale dal mezzosoprano russo Vasilisa Berzhanskaya in possesso di caratteristiche vocali adatte al ruolo: timbro di colore piuttosto chiaro, sicurezza nelle estreme note acute (particolarmente impegnative per un mezzosoprano) senza incorrere nell'urlo. Anche scenicamente è risultata credibile nelle vesti della scanzonata giovane zingara.
Fabrizio Beggi, per quanto breve fosse il suo ruolo, ha disegnato un Marchese di Calatrava impeccabile dall'emissione scura ed elegante.
Bellissimo il cameo di Marco Filippo Romano nei panni di Frà Melitone, pulito nella linea di canto, corretto musicalmente e ineccepibile interpretativamente al punto di far pensare di poter affrontare anche qualche ruolo un po' meno appartenente al repertorio brillante.
Alexander Vinogradov è stato un Padre Guardiano di bella voce scura e timbrata, per quanto un po’ debole nei gravi estremi.
Carlo Bosi, interpretativamente perfetto per il ruolo, ha performato un Mastro Trabuco dall'emissione brillante e sonora.
Adeguati nelle loro rispettive interpretazioni Marcela Rahal (Curra), Huanghong Li (Un alcade) e Xhieldo Hyseni (Un chirurgo).
In forma ottimale l'Orchestra della Scala diretta da Riccardo Chailly che ancora una volta dimostra di essere riuscito nell'intento di ottenere un suono compatto e brillante. L'interpretazione è risultata tesa a sottolineare la tragicità della vicenda ponendo gli accenti sul “tema del destino” e accompagnando ieraticamente i momenti musicalmente più intimi come nella “Vergine degli angeli”.
Anche il Coro preparato da Alberto Malazzi ha nuovamente dato prova di essere, senza tema di smentita, il coro migliore al mondo grazie a una sonorità fluida, compatta e dai bellissimi colori.
Un plauso ai tecnici e alle maestranze del Teatro che in questa occasione più che mai hanno dimostrato di essere molto abili nella gestione dei cambi scena in continuo movimento.
Il pubblico ha accolto con entusiasmo, se si fa eccezione di alcuni buu che francamente non riusciamo a spiegarci, tutti i componenti del cast con lunghi applausi nei saluti finali, ma anche a scena aperta nel corso dell'opera rivolti soprattutto ad Anna Netrebko, Ludovic Tézier e al coro.
L'ultimo Sant'Ambrogio dell'era Meyer ha così concluso brillantemente un ciclo.
La recensione si riferisce alla Prima del 7 dicembre 2024.
Susanna Toffaloni