Cio Cio San | Francesca Tiburzi |
Benjamin Franklin Pinkerton | Vitaliy Kovalchuk |
Sharpless | Piero Terranova |
Suzuki | Alessandra Palomba |
Goro | Saverio Pugliese |
Zio Bonzo | Carmine Monaco |
Principe Yamadori | Fabio Napoletani |
Kate Pinkerton | Debora Condello |
Yakusidè | Mario Bonfiglio |
Commissario imperiale | Fedele Forestiero |
Ufficiale del registro | Antonio Chiriaco |
La zia | Santina Tirotta |
La cugina | Mariagiorgia Caccamo |
La madre | Barbara Tucci |
Dolore | E. Perri |
Due ballerini | Alessia Tavolaro e Francesco Pio Minio |
Direttore | Giuseppe Finzi |
Regia | Marco Voleri |
Scene | Cristina Russo |
Costumi | Sartoria Teatrale Bianchi |
Coreografia | Filippo Stabile |
Maestro del Coro | Bruno Tirotta |
Orchestra Sinfonica Brutia | |
Coro Lirico Francesco Cilea | |
Allestimento Effepi S.r.l. di Franco Barbera |
L’apertura dell’odierna stagione lirica del Teatro Rendano di Cosenza si unisce alle programmazioni nel segno dell’ormai vicinissimo centenario della morte di Giacomo Puccini proponendo un nuovo allestimento di Madama Butterfly. Progetto senz’altro ambizioso per un teatro che ha ripreso solo in recenti tempi le attività sul fronte della produzione operistica e che si trova ancora in fase di consolidamento: non è il titolo più appetibile in una situazione come questa, dato che richiede fisiologicamente un certo sforzo produttivo soprattutto del comparto musicale. Tuttavia il direttore artistico Luigi Stillo tiene il timone ben saldo conducendo la nave in porto e per di più con felice esito.
L’allestimento cosentino – realizzato dalla Effepi srl – concretizza un’ideazione scenica di Marco Voleri più complessa di quel che potrebbe sembrare a un primo sguardo. Esiste un ossequio quasi maniacale del libretto e delle indicazioni poste da Puccini in partitura (con l’unica, felicissima, licenza del far letteralmente sporcare le mani di Pinkerton del sangue di Cio Cio San), una decisione che si inscrive in una scena ostentatamente tradizionale in cui la mano invisibile di Voleri impone una certa linearità nell’impostazione visiva, con gesti puliti e un’attenzione per le simmetrie; in breve, la Butterfly di Puccini c’è tutta e presentata nel suo puro livello narrativo in modo tale da essere fruibile virtualmente anche dal pubblico più generalista. Sotto questo sottile guscio di tradizione c’è l’effettiva proposta registica, che si muove su binari molto meno prevedibili e trasforma completamente il significato dell’allestimento stesso, perché questo racconto di Butterfly non si svolge nel mondo reale: quella che prende corpo davanti allo sguardo del pubblico è una serie di sequenze oniriche (arrivando al puro metateatro) che apre le porte a diversi livelli di lettura della materia e si apprezza che Voleri non nasconda questo lato del suo allestimento, tutto è alla luce del sole ma senza clamori. Un suggerimento discreto lasciato a portata di mano per chi vuole coglierlo. Ci sono tantissimi indizi sparpagliati qua e là che indicano lo stato delle cose, a cominciare dalla cornice di alberi che visivamente ritaglia la scena in un’inquadratura, un tratto quasi strehleriano se vogliamo (tutto il suo Entführung si gioca su elementi simili) che già di per sé dichiara la natura onirica, per non dire da realismo magico, dell’ideazione scenica; questa prima lente è il filtro che consente di mettere a fuoco e decodificare correttamente tutti gli altri elementi che in una rappresentazione realistica sarebbero fuori posto o almeno dal diverso significato, vale a dire l’enorme ventaglio che fa da sfondo al duetto d’amore del primo atto, la coppia Pinkerton/Butterfly che si separa proprio alla fine di questo, l’albero del secondo atto (indicato nel libretto come segnale dei tre anni trascorsi, mentre qui è il segnale di un nuovo sogno), gli elementi naturali utilizzati nel fondale che nel terzo atto cedono il passo a immagini astratte, la coreografia curata da Filippo Stabile dopo il "Coro a bocca chiusa" e l’uso espressivo delle luci, per non fare che alcuni esempi. Nipponicamente essenziali ma efficaci le scene di Cristina Russo e bene integrate nella visione di questo doppio binario, peraltro sfruttando in modo intelligente i costumi della Sartoria Teatrale Bianchi. Con i mezzi a diposizione, Marco Voleri firma una regia – la sua quarta – valida e interessante, dimostrando di avere più di un qualcosa da dire sull’universo del melodramma.
Splendida la direzione di Giuseppe Finzi, testimonianza di un accurato lavoro con l’orchestra e in particolare dello scavo nei colori e negli impasti timbrici. Il direttore ha un’idea molto precisa di come debba essere la “sua” Butterfly e ogni sforzo è teso a restituire al meglio le molte preziosità della partitura: i molti pianissimi, le combinazioni inusitate dei legni, le possibilità degli archi che in questo frangente Puccini indaga in modo particolare e soprattutto le sovrapposizioni di voce e strumenti a fiato, Finzi esercita un controllo pressoché totale su di un materiale del quale si mette al servizio proprio nell’idea del rispetto del segno scritto. In questo modo la fuga iniziale ritrova quella rigida irruenza che si infrange all’ingresso del piatto sospeso, i molti frammenti motivici vengono sottolineati in modo tanto chiaro da rendere evidente la loro natura drammaturgica e le connessioni che attraversano i tre atti, le percussioni riconquistano un ruolo centrale e significativo; allo stesso tempo Finzi – forte di un gesto straordinariamente chiaro – si segnala anche per la gestione dei tempi drammaturgici dell’opera, una concezione in cui viene attribuito il giusto peso a ogni pausa nella recitazione, a ogni respiro nel fraseggio, facendosi pure garante di un ottimo equilibrio tra buca e palco. Da non ultima, merita una riflessione il modo in cui Finzi ha saputo gestire il cosiddetto “elastico pucciniano”: per farla breve, chi scrive raramente ha sentito una realizzazione tanto naturale e senza la minima forzatura dell’elastico. L'Orchestra Sinfonica Brutia segue scrupolosamente il suo direttore raggiungendo un risultato notevole; ci sono diverse imprecisioni tra intonazione ed entrate non sempre pulite o non abbastanza insieme, ma nulla che differisca troppo da quel che accade normalmente in orchestra, e dato che si tratta di giovani professionisti chiamati ad affrontare quello che per la buca è uno dei titoli pucciniani più impervi (se non il più impervio tout court) il risultato è ancor più sorprendente. Sotto la bacchetta di Finzi l’orchestra ha raggiunto vette di compattezza, patetismo e tensione drammaturgica davvero ragguardevoli. Bene anche il Coro Lirico F. Cilea preparato da Bruno Tirotta, distinguendosi per la capacità di mantenere nette e molto intellegibili le singole linee anche nei momenti più concitati («Ecco, perché prescelta fu») e si ritaglia uno spazio particolare nell’intermezzo tra secondo e terzo atto.
Cast bene amalgamato e complessivamente centrato, a partire dai ruoli di contorno di Dolore (E. Perri), Madre, Cugina e Zia (nell’ordine Barbara Tucci, Mariagiorgia Caccamo e Santina Tirotta), l’Ufficiale del registro (Antonio Chiriaco), il Commissario imperiale (Fedele Forestiero) e Yakusidè (Mario Bonfiglio). Tratteggiata con delicata eleganza la Kate di Debora Condello, mentre Fabio Napoletani è uno Yamadori altero e dai modi sofisticati; ben caratterizzato il truce Zio Bonzo di Carmine Monaco, che all’ingresso cattura immediatamente l’attenzione della platea.
Saverio Pugliese propone un Goro dai modi untuosi ma non sciocco, dotato di un’intelligenza ammantata di servilismo verso chi detiene il potere e tutt’altro che tenero nei confronti di chi ne ha meno di lui, il tutto racchiuso in una buona prova vocale. Alessandra Palomba infonde nella sua Suzuki dei fortissimi accenti patetici che emergono in particolare nel terzo atto, andando a comporre una figura dotata di un’insolita complessità: c’è dolcezza, c’è amore per la sua Cio Cio San e questo sentimento viene dilaniato dal dolore per la propria impotenza (oltre che dal dolore stesso della padrona), un approfondimento così interiorizzato da essere filtrato nel canto; naturalmente non mancano anche momenti di levità in cui si apprezzano alcune caratteristiche del timbro, come la morbidezza nel registro centrale e la colorazione argentea verso l’acuto, come esempio valga per tutti il delicato intervento nel duetto dei fiori.
Piero Terranova è un ottimo Sharpless e può fare affidamento su una vocalità solida, sempre ben appoggiata e dal colore piacevolmente scuro con delle bruniture nel registro grave. Modi cortesi ma anche molta fermezza, lievi tratti ironici e una grande luce di umanità senza paternalismi: insomma, gli ingredienti di un'interpretazione particolarmente convincente; Terranova incarna un console conscio della propria posizione ma non per questo si tira indietro di fronte al dramma di Butterfly. La sua presenza scenica carismatica unita all’impeccabile controllo tecnico dello strumento vocale lo rendono uno Sharpless di livello che resta facilmente nella memoria di chi l’ha ascoltato.
Vitaliy Kovalchuk sin dai primi momenti ha dato prova di un grande investimento delle sue non poche risorse nel ruolo di Pinkerton. Ci sono alcune rigidità nel gesto scenico, ma musicalmente parlando ha sostenuto il ruolo con grazia e intensità, attento alla dizione, al fraseggio, al legato. Magari può aver impiegato troppa energia in alcuni passaggi, ma una realizzazione così sentita e pervasiva del personaggio non può che essere ammirata e Kovalchuk è riuscito a trovare il suo personale equilibrio nella strabordante interpretazione del duetto d’amore che conclude il primo atto.
Francesca Tiburzi è un’ottima rappresentazione del ruolo del titolo, nel senso che ha saputo sovrapporsi a Cio Cio San come motore trainante della macchina drammaturgica. Non è un segreto che tutto il peso dell’opera gravi sulle ali di Butterfly e Tiburzi se ne è fatta coscientemente carico gestendo con grande intelligenza lo sviluppo orizzontale del melodramma: nel primo atto è il ritratto della fresca giovinezza, venata ora da qualche rapida ombra (la memoria del padre, ad esempio) ora da qualche accento frivolo che però decade subito; nel secondo atto è una donna senza dubbio più consapevole di sé stessa per poi approdare alla figura dolorosa e quasi stilizzata di una martire. L’impressione può essere quella di una prova “in crescendo” come risultato, ma è evidente che dietro ci siano delle precise scelte interpretative. Si apprezza il delicato slancio lirico dei momenti più intimi, rimarcati nella loro dimensione personale dai pianissimi tanto belli nel colore quanto solidi nell’intonazione, così come la facilità all’acuto che proietta la voce in una regione in cui si arricchisce di armonici. Una prova davvero pregevole che va ben oltre i meriti dei singoli numeri musicali.
Lunghi applausi finali e soddisfazione da parte del folto pubblico; in definitiva il Teatro Rendano può essere ben felice dell’esito di questa prima che si assesta a un livello qualitativo decisamente al di sopra delle aspettative e per cui meriterebbe non solo più attenzione ma anche sostegni più concreti: nel corso della serata si è parlato di riuscita miracolosa, apprezzamento che svilisce la professionalità dei nomi coinvolti e che quasi sottintende “si può continuare su questa strada”. D’altra parte, se questi sono i risultati ottenuti con scarso sostegno, viene da chiedersi cosa si potrebbe fare con un supporto adeguato.
La recensione si riferisce alla recita del 10 novembre 2023.
Luca Fialdini