Otello | Roberto Aronica (25 giugno) |
Gregory Kunde (26 giugno) | |
Jago | Angelo Veccia (25 giugno) |
Franco Vassallo (26 giugno) | |
Cassio | Marco Miglietta |
Roderigo | Pietro Picone |
Lodovico | Luciano Leoni |
Montano | Luca Gallo |
Un araldo | Ton Liu (Scuola dell'Opera del TCBO) |
Desdemona | Federica Vitali (25 giugno) |
Mariangela Sicilia (26 giugno) | |
Direttore | Asher Fisch |
Regia e luci | Gabriele Lavia |
Scene | Alessandro Camera |
Costumi | Andrea Viotti |
Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna |
Confesso di aver commesso un errore. Venerdì 24 giugno, giorno della “prima” di questo Otello, ero a Napoli per una splendida realizzazione di Evgenij Onegin di Čajkovskij in una strepitosa messa in scena di Barrie Kosky, con la più bella festa in casa Larin al secondo atto che abbia mai visto dal vivo, in cui ogni corista era chiamato a recitare un personaggio, mentre il tutto veniva amalgamato con una coerenza e una forza teatrale straordinarie. Forse se non avessi avuto l’occasione di un confronto così ravvicinato avrei potuto apprezzare di più il lavoro di Gabriele Lavia, per il quale provo sempre stima e talvolta ammirazione. Il regista e attore milanese punta soprattutto sulla recitazione dei solisti con risultati che variano a seconda delle capacità dei singoli, ma che raggiungono momenti davvero coinvolgenti soprattutto con Angelo Veccia e Mariangela Sicilia. Un caso a parte resta Gregory Kunde, per l’autorità raggiunta anche con la lunga frequentazione del personaggio. Ma tutti i componenti dei due cast risultano credibili e impegnati. I costumi (Andrea Viotti) sono d’epoca e le scene (Alessandro Camera), semplicissime e funzionali, erano nate per gli spazi e le limitatissime risorse tecniche del PalaDozza, dove si era trasferita per l’emergenza sanitaria l’attività del Teatro Comunale.
Lo spettacolo non fece comunque in tempo ad andare in scena a causa della chiusura completa a cui andarono incontro tutte le forme di spettacolo e non solo. Di questa impostazione ha indubbiamente risentito questa produzione anche dopo il trasferimento nella sua sede più consona, col coro (quando è previsto) schierato sullo sfondo e con l’azione demandata, oltre ai solisti, a dei figuranti. Il colpo d’occhio all’apertura del sipario col drappo rosso che ricopriva quasi interamente il palcoscenico faceva venire in mente I masnadieri verdiani che Lavia mise in scena nel 1986 a Pisa; poi la stoffa si solleva a cupola e permarrà per tutto lo spettacolo in forme e colori diversi (luci di Gabriele Lavia).
Applaudito, con qualche contestazione il 26 giugno, Asher Fisch, che scatena tonnellate di suono con effetto fine a se stesso, privo di forza drammatica e di tensione narrativa spesso con l’unico risultato di mettere in difficoltà i cantanti. Latita pure la ricerca coloristica, Dio sa quanto necessaria in una partitura come questa, ricca di infinite sottigliezze espressive e lessicali.
Per fortuna le due compagnie di canto avevano spalle abbastanza robuste, nel complesso. Non sentivo Gregory Kunde (26 giugno) in quest’opera da quasi nove anni e devo dire che dal punto di vista vocale le cose non sono cambiate molto. Grande sicurezza, risolve con spavalda insolenza «Esultate!» e tutti i passi che mettono a dura prova il registro acuto. Forse il timbro si è un pochino prosciugato al centro, compensato da una cura del fraseggio ancora più sottile. Anche la recitazione mi è apparsa più curata del solito, soprattutto nell’ultimo atto. L’impressionante boato che l’accoglie alle uscite singole sembra sorprendere perfino lui, pur abituato ai trionfi, e quello forse ancora più potente che riceve in seconda battuta gli suggerisce una gag in cui finge un mancamento per lo spavento.
Ma pure l’altro Otello (25 giugno) dà vita ad una prestazione di tutto rispetto, tanto più se si considera che si trattava di un debutto assoluto. Roberto Aronica aveva annunciato altre volte l’intenzione di accostarsi a questo personaggio e almeno in un caso era apparso in suo nome in cartellone. Finalmente è giunto il momento di appropinquarsi al terribile moro. Bisogna dire che l’esordio è positivo. Efficace come attore, crea un personaggio più introverso e sofferto di quello reso da Kunde e vocalmente, a parte qualche veniale forzatura, si tratta di un approccio decisamente interessante, che, soprattutto se ulteriormente approfondito, magari in uno spettacolo costruito intorno a lui, potrà dare ulteriori soddisfazioni.
Mi ha colpito molto positivamente Angelo Veccia (25 giugno), uno Jago ancora più pericoloso nella sua normalità. Niente ammiccamenti, smorfie, sottolineature evidenti, ogni frase e buttata là con noncuranza ma in modo che il significato pesi come piombo e rimanga scolpito nella mente della vittima. Poi è un bell’uomo che si muove con disinvoltura e signorilità e si capisce come Otello possa cadere nella rete quasi senza accorgersene. Vocalmente Veccia risolve tutta la parte con grande autorità, ha l’estensione necessaria, la dizione è perfetta, il fraseggio sottile.
Franco Vassallo ha voce ampia e attraente, ma non è detto che queste qualità rendano il personaggio più intrigante. Il baritono milanese non cade nelle trappole che rendono Jago una specie di Barnaba a tutto tondo, ma i suoi toni e il portamento non hanno la finezza del collega, benché lo spessore vocale e una certa impetuosità di accento conquistino il pubblico che gli tributa un’accoglienza di grandissimo calore.
Mariangela Sicilia (Desdemona il 26 giugno) ha raggiunto una maturità vocale ed espressiva davvero ragguardevole. Lo strumento ha acquistato consistenza e omogeneità in tutta la gamma e l’attrice ha affinato le sue naturali doti. Autorevole nei momenti più drammatici, sfoggia una grande varietà di fraseggio anche grazie al dominio delle dinamiche. Pure per lei trionfo più che meritato.
Non altrettanto può dirsi della Desdemona del 25 giugno, Federica Vitali, abbastanza evanescente nella prima ottava e con qualche acuto non ben calibrato. Si riscatta però nel quarto atto, dove il suo personaggio fragile, ansioso, trepido rimane impresso nella memoria.
Le parti minori sono alterne. Si va dal Roderigo poco significativo di Pietro Picone, al dignitoso Montano di Luca Gallo, al professionale Lodovico di Luciano Leoni, all’Emilia precisa ma senza particolare spicco di Marina Ogii, al corretto araldo di Tong Liu (della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale).
Marco Miglietta (Cassio) ha voce sonora e gradevole. Nella recita del 25 giugno è apparso un poco pesante e in difficoltà negli arabeschi del terzo atto («Miracolo vago dell’aspo e dell’ago»), ma si è abbastanza riscattato nella pomeridiana del 26 giugno.
Orchestra non al suo meglio e buona prova del Coro diretto da Gea Garatti Ansini.
Teatro quasi pieno in entrambe le recite e, come già detto, successo incandescente per tutte le prime parti.
La recensione si riferisce alle serate del 25 e 26 giugno 2022.
Silvano Capecchi