Gustavo III | Piotr Beczala |
Renato Anckastrom | Dmitri Hvorostovsky |
Amelia | Krassimira Stoyanova |
Ulrica | Nadia Krasteva |
Oscar | Hila Fahima |
Cristiano | Igor Onischenko |
Conte Horn | Alexandru Moisuc |
Conte Warting | Sorin Coliban |
Un Giudice/Un servo di Amelia | Thomas Ebenstein |
Direttore | Jesús Lòpez Cobos |
Orchestra e Coro della Staatsoper di Vienna |
La casa discografica Orfeo ha di recente proposto sul mercato questa interessante registrazione di Un ballo in maschera, andata in scena alla Staatsoper di Vienna nell’aprile del 2016, nella versione “svedese” pensata da Verdi prima che l’intervento della censura imponesse la trasposizione della vicenda nel cuore dell’America coloniale.
Una registrazione interessante, si diceva: il disco costituisce infatti l’occasione per apprezzare un cast di prima grandezza impegnato nell’esecuzione di un’opera che – al netto delle polemiche originate dalle infelici scelte rappresentative derivanti dal tanto pervicace quanto inutile tentativo di incasellare il Cigno di Busseto nei banalissimi stereotipi della modernità (promemoria per registi e addetti ai lavori: i travestiti in scena e le immagini di Verdi in versione transgender non scandalizzano né impressionano. Al massimo, strappano uno sbadiglio) – rappresenta la più alta espressione dell’amore verdiano. L’unica, forse, nella quale l’aulicità dei sentimenti (amore, onore, vendetta) si lascia contaminare da un’umanissima vena di sensualità.
L’ascolto dell’album, nel complesso, non tradisce le attese. Alla guida dell’Orchestra della Wiener Staatsoper, un gigante come Jesús Lòpez Cobos regala momenti di pura estasi, come la scatenata frenesia che pervade “Ogni cura si doni al diletto”, o lo splendido gioco di archi da cui è scandito “E’ lui, è lui né palpiti”: talmente sinistro ed incalzante da evocare, nella mente del pubblico, la plastica immagine dell’apparizione del Signore degli Inferi sulla Terra.
Una direzione di così alto livello non può che esaltare le qualità dei cantanti: Krassimira Stoyanova è una Amelia centratissima nella sua dimensione di donna piagata dal dolore per un amore inconfessabile, grazie al raffinato fraseggio, al sapiente uso dei piani messo in mostra in “Morrò ma prima in grazia” e agli acuti solidi sfoderati sia nel duetto che nella scena dell’urna. Molto raffinato e frivolo l’Oscar di Hila Fahima, apprezzabile l’Ulrica di Nadia Krasteva, per il timbro brunito e la ricchezza di armonici sfoggiata anche nei passaggi più gravi che il ruolo richiede.
Nei panni di Renato, il compianto Dmitri Hvorostovsky mette in mostra uno strumento vocale non più freschissimo (non a caso, il ritiro dalle scene avverrà solo pochi mesi dopo lo spettacolo che si commenta), ma che nulla ha perso in morbidezza (da applausi il passaggio: “Te perduto…te perduto ov’è la patria?”) e nella capacità di cesellare ogni aspetto della personalità del personaggio: i passaggi più dolenti di “Eri tu”, sospesi tra dolcezza del ricordo e disperazione per il sogno spezzato, strappano un brivido di commozione autentica.
In crescendo, infine, la prova offerta da Piotr Beczala in una parte, quella di Gustavo III/Riccardo, tante volte interpretata in carriera: convincente nel duetto d’amore e nel “Sì rivederti amelia” (con il sì bemolle scoperto e il successivo la risolti con invidiabile nonchalanche), meno a fuoco nei chiaroscuri della barcarola e nell’esecuzione di “La rivedrà nell’estasi”. Un buon Gustavo, dunque: ancorché privo della nobiltà di accenti e della profonda introspezione psicologica offerta dai grandissimi interpreti del ruolo del monarca svedese destinato a tramutarsi nel Governatore di Boston (da Bjorling a Domingo, passando per Bergonzi, Tucker e Pavarotti).
Igor Onischenko(Cristiano), Alexandru Moisuc (Conte Horn), Sorin Coliban (Conte Warting), Thomas Ebenstein (Un Giudice; Un servo d’Amelia) completano la locandina di questa buona esecuzione del Ballo, della quale non si può che consigliare l’ascolto.
Carlo Dore jr.