Tosca | Kristine Opolais |
Mario Cavaradossi | Jonathan Tetelman |
Scarpia | Gabor Bretz |
Sciarrone | Rafal Pawnuk |
Angelotti | Ivan Zinoviev |
Spoletta | Andrew Morstein |
Direttore | Marc Albrecht |
Regia | Martin Kušej |
Scene | Annette Murschetz |
Costumi | Su Sigmund |
Luci | Reinhard Traub |
Drammaturgia | Regula Rapp |
Maestro del Coro | Erwin Ortner |
Regia video | Tiziano Mancini |
ORF Radio - Symphonieorchester Wien | |
Arnold Schoenberg Chor | |
1 Dvd UNITEL EDITION |
Curioso come Tosca sia stata definita opera “for newcomers”, neofiti del melodramma, in un programma di sala della Royal Opera House ancora in mio possesso. In effetti, con la concisione che la contraddistingue, la lingua inglese riesce ad etichettare nel migliore senso del termine la bruciante teatralità e l’immediatezza che ne caratterizzano la vicenda e il trattamento musicale.
La suggestione quasi cinematografica che l’azione scarna suscita nello spettatore non avrebbe grande necessità per un regista di mettere mano alla drammaturgia, eppure Tosca è una di quelle opere che maggiormente ha ispirato esercizi stilistici agli estremi delle possibilità. Si sono così viste produzioni calligrafiche con S. Andrea della Valle riprodotto nei minimi dettagli così come l’incombente angelo mastodontico in cima a Castel Sant'Angelo, contrapposte ad ambientazioni di epoca fascista oppure contemporanea con moderna cucina da showcooking televisivo.
Ciò che ancora mancava all’appello era lo scenario apocalittico di una landa desolata in un non precisato grande nord. Lo spettacolo a cui ci si riferisce ha debuttato al Theater an der Wien nel 2022, trasferito in Dvd con l'etichetta Unitel Edition, presenta una visione urticante della vicenda. Come se ce ne fosse bisogno l’estremizzazione della brutalità insita nella centrale figura di Scarpia è qui inserita in un contesto distopico che ne travalica la doppiezza.
Martin Kušej, responsabile della produzione, si affida alle scene di Annette Murschetz e ai costumi di Su Sigmund, oltre che a Regula Rapp per la drammaturgia, per caratterizzare uno spettacolo che si apre con il sibilo del vento che anticipa l’entrata di Angelotti, semisvestito e in fuga. Siamo in una spianata innevata al centro della quale si erge un grande albero ischeletrito. Dai rami nodosi penzolano miseri resti umani mentre un cavalletto appoggiato al tronco sorregge un’icona con l’immagine della Madonna. Il ritratto della Maddalena c’è, come da libretto, ma l’idea è che Cavaradossi dipinga all’aperto in mezzo ad un nulla che poco dopo si contestualizza in una sorta di campo di confino. Ma questo è solo un preambolo alle pesanti manomissioni del libretto che continueranno lungo l’intero arco temporale.
Si comincia con la figura del Sagrestano che, tradizionalmente, si è sempre mossa su pericolosi crinali macchiettistici. Qui però il pericolo è sventato poiché in luogo dell’anziano personaggio è Sciarrone che ne sostiene la parte tanto che, da vero sgherro, sostituisce l’esclamazione “Sacre ampolle” con un ben più crudo “Porco cane” mentre un vero mastino attraversa il palcoscenico. Sciarrone/Sagrestano rientrerà poi in scena nel Te Deum a torso nudo, agghindato con un curioso copricapo e una collana di piume che, al di là dell’ingenuità di un abbigliamento fuori luogo in una landa innevata, suscitano ben più di una risata appena accennata.
L’intero primo atto si dipana tra ventagli spariti dal libretto e sostituiti con vestiti, versi nei quali compaiono parole come “neve” e, grande espediente drammaturgico in una drammaturgia che non manca di nulla già di suo, la comparsa dell’Attavanti in carne ed ossa. Questo ruolo muto attraverserà l’intero spettacolo fino ad uccidere Tosca nel finale poiché in regime di cattività presso gli sgherri di Scarpia.
Quest’ultimo si presenta al pubblico in pelliccia, pantaloni e maglione color panna uscendo da una roulotte sgangherata che sostituirà, aperta, Palazzo Farnese nell’atto successivo e arrampicandosi sull’albero nel corso del Te Deum mentre il coro appare in abiti da lavori forzati.
Se il primo atto va ben oltre lo straniamento puro dello spettatore, il secondo, sia pure con la presenza dell’Attavanti che si aggira sinistra in palcoscenico e la cantata che filtra attraverso una radio accesa, si sviluppa in modo più lineare e l’attenzione è giustamente posta sull’interazione Tosca – Scarpia. La donna sembra per prima puntare sul suo fascino seduttivo per convincerlo a liberare il suo Mario e l’intero atto è abilmente curato nella recitazione tanto da reggere senza sforzo anche le inquadrature strette di Tiziano Mancini, regista del video. Non mancano alcune ingenuità, fra tutte l’inspiegabile motivo per cui Tosca, subito dopo l’uccisione dell’aguzzino, lo spogli a fatica del pesante maglione insanguinato per coprirsi invece che indossare i suoi abiti e fugga scalza invece di indossare i suoi stivali.
Nell’atto finale siamo ancora nella stessa landa desolata iniziale e lo straniamento continua in quanto l’estatica pagina descrittiva che Puccini dedica all’alba romana con il canto del pastorello qui risulta completamente avulsa dal contesto in quanto lo stornello è affidato a Cavaradossi. Quest’ultimo morirà inginocchiato, finito da Sciarrone con un colpo di pistola alla tempia. Poco dopo Tosca sarà invece giustiziata dall’Attavanti non essendo presente nessun dirupo o altura da cui buttarsi.
C’è da chiedersi la ragione per cui, pur lodando la direzione di attori e delle masse nelle pagine corali, la coerenza del progetto artistico e gli indubitabili sforzi della compagnia di canto, un allestimento che smonti la commistione ferrea di musica e libretto si voglia tramandare ai posteri. Tanto più che la parte musicale è di ottimo livello, dunque forse sarebbe stato preferibile fare di questo spettacolo un CD.
Marc Albrecht, più avvezzo al repertorio tedesco e intervenuto in corsa in sostituzione del previsto Ingo Metzmacher, dirige senza concedere pause ai cantanti. Il fluire della musica è tagliente, in accordo con la brutale visione di Kušej. Non c’è infatti abbandono nel tappeto sonoro che sostiene Tosca e Cavaradossi durante il duetto dell’atto iniziale. Chiudendo gli occhi e concentrandosi su ciò che si ascolta l’approccio a Puccini è di certo poco convenzionale, ma dopo tutto c’è ben poco di languoroso nella parabola dei due amanti separati dal lascivo potente di turno. La protervia sotto traccia di Scarpia si rivela ancor prima che esploda nel soliloquio dello studio. Nella concertazione di Albrecht serpeggia costantemente la minaccia legata alla persona del capo della polizia, come se le pagine di spiccato lirismo (che pure maggiormente sono impresse nella memoria dello spettatore) siano solo un momentaneo diversivo nella tragedia imminente. Tutto è teso, analiticamente descritto senza abbandoni veri ma all’interno di un arco dinamico frastagliato. Il crudele crescendo nello scambio fra soprano e baritono dell’atto secondo è graffiante senza eccessivo turgore, così come il lento avvicinarsi del plotone di esecuzione, qui limitato al solo Sciarrone, risuona infausto e quasi da brividi.
Kristine Opolais aderisce con determinazione alle richieste della regia tratteggiando una primadonna disperata e disposta a tutto pur di salvare l’amante. Assertiva sia in impermeabile verde e stivaletti che in succinto miniabito guarnito con stola di pelliccia, si mostra animale da palcoscenico con vocalità tagliente. Si potrà obiettare che manca di rotondità e sensualità laddove sono richieste nel primo e terzo atto, ma il canto è comunque arroventato dove serve, consono alla visione di Kusej. “Agil qual leopardo” lo è di sicuro oltre che in grado di superare il denso strumentale nei momenti in cui monta il pathos. In definitiva la sua è una Tosca completamente a suo agio nel contesto in cui ci muove e nonostante i non pochi momenti in cui si trova a seguire le non usuali richieste della regia. Si produce infine in do della lama ben centrato che ben si armonizza con l’esuberanza di Jonathan Tetelman, Cavaradossi dall’insolente registro acuto che pone l’accento sulla spavalderia del personaggio.
In realtà la tessitura centralizzante potrebbe consentirgli un maggiore approfondimento del ruolo, ma la regia gli riserva comunque una minore cura rispetto alle attenzioni dispensate agli altri protagonisti. I due “Vittoria” esaltano il facile squillo ma il fraseggio è ancora in fieri e necessiterebbe di una dizione più accurata oltre a un miglior uso delle mezze tinte in pagine quali “Recondite armonie”. Il tutto è sicuramente perfettibile in una carriera ancora in ascesa e di certo la gradevole figura fa di lui l’ideale incarnazione dell’eroe tenorile.
Gabor Bretz è una scelta inusuale per Scarpia che pure dovrebbe essere affidato ad un baritono, però il basso ungherese si destreggia con onore fra le complessità di uno dei vilain per eccellenza dell’opera lirica. Non spinge sulla visceralità ferina del personaggio prediligendo la crudeltà sardonica dell’uomo di potere, ma c’è ben poco della subdola natura del nobile corrotto eppur irreprensibile in superficie.Stoico nel dover affrontare tutto l’atto secondo pesantemente vestito (e le riprese strette lo mostrano madido di sudore), mostra tutta la ruvidezza del personaggio così come lo vuole la regia incutendo terrore e potendo contare su omogeneità dei registri e buona linea vocale.
Una specie di tour de force è invece quello di Rafal Pawnuk che sostiene, come già accennato, ben tre ruoli, il sagrestano, Sciarrone e il carceriere. La bella vocalità brunita ben lo sorregge e, se non fosse che la partitura descrive inequivocabilmente la natura buffa dell’anziano sagrista, la caratterizzazione dello stesso risulterebbe di sicuro più convincente.
Completano il cast Ivan Zinoviev, Angelotti costretto ad aggirarsi fra la neve e alla ricerca non già della chiave della cappella ma dei vestiti della sorella, e Andrew Morstein, Spoletta dal timbro chiaro in mezzo a voci di notevole peso sonoro.
Ripresa audio e video sono di ottima qualità, soprattutto la regia video che può contare sulla totale immedesimazione e sulla fisicità più che adeguata del cast. Se non fosse che questo spettacolo ha ben poco della Tosca di Puccini si potrebbe dire agevolmente che si tratta di un’ottima pièce teatrale.
Caterina De Simone