Platée | Marcel Beekman |
La Folie | Jeanine de Bique |
Mercure/Thespis | Cyril Auvity |
Cithéron/Momus | Marc Maullion |
Jupiter | Edwin Crossley-Mercer |
Clarine/Amour | Emmanuelle De Negri |
Junon | Emilie Renard |
Thalie | Ilona Revolskaya |
Momus/Satyre | Padraic Rowan |
Direttore | William Christie |
Regia | Robert Carsen |
Scene e costumi | Gideon Davey |
Coreografie | Nicolas Paul |
Maestro del Coro | Erwin Ortner |
Les Arts Florissants | |
Arnold Schoenberg Chor | |
2 Dvd Unitel 804708 | |
Distribuzione Ducale |
Una ninfa bruttissima esce dal suo stagno melmoso e si ritrova di colpo promessa sposa di Giove. Per quasi tutta la durata di Platée, comédie-ballet di Jean-Philippe Rameau la cui trama psichedelica resta tuttora unica nella storia dell’opera, la poverina sarà al centro di preparativi e festeggiamenti proprio fino all’ultimo, quando il sogno svanirà non tanto per l’intervento di Giunone, ma perché lo scherzo è finito. Questa storia è rimasta sommersa per un bel po’, poi si è rivelata al mondo con una storica messa in scena dell’Opera di Paris (1999) con l’abbinata Marc Minkovsky/Laurent Pelly, fondamentale non solo per la fortuna di questo capolavoro, ma proprio per aver aperto prospettive inimmaginabili nel campo della regia delle opere barocche. Il segno è ancora vivo e profondo, tant’è vero che è difficile staccarsi da quell’imprinting felice e sorprendente. Per questo, e poiché il mondo va avanti, è stato interessante considerare il punto di vista di Robert Carsen, regista di punta.
Siamo nel mondo della moda, in clima di sfilate, tra stereotipi e isterie. Sono tutti magri tranne Platée, una signora grassa in ciabattine, asciugamano bianco da spa e una maschera di bellezza verde. Lei è il tenore olandese Marcel Beekman, un bell’uomo di ottima sostanza che entra con sorprendente naturalezza nei panni di una matura babbiona che all’improvviso si sente bella come una divinità. La sostengono e la illudono camerieri, maitre, segretari e influencer di un certo peso: sono quasi tutti dei dell’Olimpo o i loro tirapiedi. Bisogna vedere con che desiderio Platée si appresta ad aprire il sacchetto griffato Chanel che contiene il suo vestito per la festa, con che garbo avvicina le mani e ne estrae un vestitino rosso di chiffon, un gesto da grande attore. Del resto attraversa tutti i marosi della sua parte con grande classe, soprattutto nel finale disperato in cui scopre la beffa, quando tiene magistralmente la scena vestito solo di una combinazione di pizzo nero da cui sciaborda tutta la sua ciccia.
Platée è un contenitore infinito di musica, sconcertante per la ricchezza di temi che la regia di Carson asseconda con sensibilità nel prologo e nel primo atto. Le trovate registiche sono gradevoli e spesso modellate sulla musica attraverso i gesti dei ballerini, dei cantanti e del coro. L’ambientazione è indovinata: un mondo in cui la grassezza è bandita e viene assunta a motivo di dileggio ed esclusione, in cui la sottospecie umana è rappresentata da una donna oversize, e per tanto meritevole di essere derisa e oltraggiata. Nel secondo e nel terzo atto però il meccanismo perfetto comincia a dare segni di stanchezza: la scena nera opprime, le danze perdono di mordente, i riferimenti e le gag si usurano, la pesantezza dell’allestimento finisce per distogliere l’attenzione dal cuore dell’opera: la musica.
Il grande William Christie con le sue Arts Florissants vengono soffocati da una parte visuale ridondante e stancamente provocatoria, di cui sono principalmente responsabili le coreografie di Nicolas Paul, ripetitive e povere di idee: noiose le danze del secondo atto, con un gruppo di ninfe malvestite che muovono le braccia senza costrutto, e ancora più asfissiante l’orgia asettica del terzo atto, conclusa dall’arrivo di Momus avvolto in una tenda per la doccia con un flessibile in testa. A questo punto conviene estraniarsi dal video, magari oscurarlo, e godersi la garbata conduzione di William Christie.
Se la Platée di Marcel Beekam è sostenuta dalla forte presenza scenica cui fa seguito anche la resa vocale, la Folie di Jeanine de Bique, giovane soprano americano, è nulla più che corretta. Canta diligentemente quanto è scritto senza aggiungere nulla alla successione delle note. Inoltre le manca il sound della lingua che suona rigida e scolastica, quanto di più lontano dal personaggio, tra le altre cose destinatario di arie scintillanti per virtuosismo ed eccentricità. Il tenore Cyril Auvity (Mercure e Tespys) è vivace e divertente, così come l’Amour di Emmanuelle de Negri, in lenzuolo e arco di cartone dorato, come alla recita delle scuole elementari. La coppia Jupiter/Junon si incarna in Karl Lagerfeld e Coco Chanel, il primo (Edwin Crossley-Mercer) con un bel gatto vivo in braccio (ottimo attore) e la seconda (Emilie Renard) in tailleur, sigaretta e fiori bianchi, lui abbastanza avulso dalla vicenda, lei petulante come da contratto, entrambi con tutti gli stereotipi legati alla loro immagine ben in evidenza.
L’Arnold Schoenberg Chor è fantastico per come canta e per come sta in scena, ben trattato anche dalla regia di Carsen.
La regia video di Davide Mancini è piatta, spesso ripresa dal centro, come se non sapesse bene a cosa aggrapparsi in tanta abbondanza di scene e controscene. La ripresa sonora non aiuta molto le voci.
L’allestimento del Theater an der Wien doveva andare regolarmente in scena, ma è stato poi bloccato dalla pandemia. Lo spettacolo è stato ugualmente tenuto a sala vuota per essere consegnato al pubblico attraverso questo video live.
Daniela Goldoni