Roberto De Candia, uno dei più apprezzati baritoni degli ultimi trent’anni, torna dopo alcuni anni di assenza a calcare il palcoscenico del Teatro alla Scala, per interpretare il ruolo di Taddeo nell’Italiana in Algeri dello storico allestimento ideato da Jean-Pierre Ponnelle
Roberto, il ruolo di Taddeo ti ha dato tante soddisfazioni nel corso della carriera; ci ricorderesti i teatri principali in cui l’hai cantato?
É vero: Taddeo è stato uno splendido compagno di viaggio in più di 30 anni di carriera (insieme a Figaro, Dandini e altri). L’ho debuttato tantissimi anni fa a Bologna e Reggio Emilia, cantandolo poi ad Amsterdam, Al Metropolitan Opera, al Regio di Torino, a Tokyo, a Parigi al Théâtre des Champs-Élyséese, ovviamente, alla Scala nel 2003.
Ora lo stesso ruolo rossiniano ti porta a ricalcare il palcoscenico scaligero: immaginiamo debba essere motivo di grande soddisfazione.
Non posso negare di essere estremamente emozionato e fiero di ritornare nel più importante teatro del mondo e in una delle opere più amate. Il giorno che ho rimesso piede in Scala mi si è riempito il cuore di gioia e di emozione. Ritornare qui dopo 15 anni, e dopo aver eseguito 15 produzioni in soli 10 anni fra il 1996 e il 2006, è anche il segno di una carriera che non solo non si è mai fermata ma che si è anche evoluta grazie a uno studio costante e serissimo.
Secondo te quali sono le ragioni per cui certi allestimenti di Ponnelle, ad esempio questo d’Italiana, ma anche Barbiere e Cenerentola, giusto per citare i primi tre titoli che mi vengono in mente con la regia dello stesso autore, a distanza di ormai svariati decenni, funzionano ancora?
Gli spettacoli a firma di Ponnelle sono ancora oggi i capisaldi su cui si fondano la maggior parte degli allestimenti che si vedono ancora nei teatri ai giorni nostri. Credo che dipenda innanzitutto dalla genialità del loro ideatore (vorrei citare L’Occasione fa il Ladro a questo proposito). Credo che Ponnelle avesse capito che l’azione scenica è anch’essa musica in questo repertorio e, di conseguenza, imposta i suoi spettacoli rossiniani come esecuzione musicale e coreografica attentissima al testo drammaturgico. Dall’unione di tutti questi elementi vengono fuori i personaggi che, sebbene in costume d’epoca, sono modernissimi e sempre vivi. Riuscire a essere moderno in un allestimento classico, credo sia questo il miracolo riuscito a Ponnelle.
Negli ultimi anni hai affrontato anche ruoli verdiani a cui probabilmente, all’inizio della tua carriera, non avresti mai pensato di giungere. Questa tua poliedricità artistica dimostra che possiedi una tecnica di base particolarmente solida che ti consente di affrontare, nel rispetto della tua vocalità, repertori tanto diversi. Detto ciò, quali sono le ragioni che ti hanno spinto verso i recenti debutti verdiani?
È vero, negli ultimi anni mi sono state offerte delle occasioni straordinarie per confrontarmi con personaggi che, fino a poco fa, mi sembravano lontanissimi dalla mia vocalità. Il fatto è che, specialmente adesso, i cantanti tendono a essere incasellati in un repertorio o secondo una sola caratteristica artistica. La voce, invece, non è mai ferma in un punto. Così come cambia il corpo, e la nostra anima più intima, così anche la voce, se ben assecondata e “appoggiata” su una tecnica solida e che consenta una carriera di lungo respiro, cambia con noi. E’ per questo che, seguendo l’esempio del mio Maestro (Sesto Bruscantini, ndr) ho messo a frutto lo studio e la maturità fisica e vocale per creare personaggi a me nuovi. Però li ho sempre cantati con la mia voce, senza mai forzare lo strumento. Fu proprio lui, quando avevo solo 30 anni, a volermi insegnare il ruolo che poi è stato fondamentale per lo sviluppo della mia carriera: Falstaff. E’ chiaro che chi mi ascolta in Taddeo non può immaginarmi in Rigoletto (ruolo al cui debutto eri presente anche tu) ma il sillabato e la tessitura del primo non sono paragonabili al fraseggio disteso e drammatico del secondo. Vorrei, se mi permetti, citare Bruscantini quando, a lezione, mi diceva: “Tu canta sempre con la tua voce. Sarà il ruolo che interpreti a prendersi il colore che gli serve.” All’epoca non capivo bene cosa volesse dirmi. Adesso si.
Il belcanto rimarrà il tuo terreno d’elezione oppure hai qualche idea diversa e particolare per il tuo futuro artistico?
Credo che, per caratteristiche vocali e personali, il belcanto rimarrà fondamentalmente l’ambito in cui stare bene con la mia voce. Ci sono una infinità di titoli che mi piacerebbe debuttare o cantare ancora (pensa che debuttai Enrico in Lucia di Lammermoor nel 1993 a 25 anni con Roberto Alagna che debuttava Edgardo ad Avignon, ma ero ovviamente troppo giovane) all’interno di questo ambito. Mi piace sorprendermi delle proposte che mi vengono offerte e soprattutto studiare sempre.
Quale ruolo ti piacerebbe riuscire a debuttare in questa fase della tua carriera?
Ce ne sono talmente tanti che neanche mi vengono in mente: Riccardo in Puritani, Michonnet in Adriana, ricantare Enrico in Lucia o Sancho nel Don Quichotte di Massenet…
Come vedi la situazione teatrale italiana ed internazionale dopo le chiusure causate dal covid nell’ultimo anno e mezzo?
Sono uno dei pochi privilegiati che sta lavorando in un periodo in cui, data la contrazione dell’offerta teatrale, molti colleghi stanno ancora a casa. Inutile prendersi in giro, il mondo non è più lo stesso e questo vale ancora di più per un micromondo come il nostro ancora in cerca di una normalità che, purtroppo temo, tarderà ad arrivare.
Per fortuna alcuni teatri hanno messo in piedi protocolli covid molto stringenti ed efficaci, come il Teatro alla Scala, il Liceu di Barcellona (in cui sono stato di recente) e diversi altri. So, per racconti di colleghi, che non tutti i luoghi di lavoro sono così rigorosi e questo mi preoccupa. Tutti noi abbiamo bisogno di tornare a lavorare ma la sicurezza e la salute sono prioritari. Credo che molto dipenda anche da noi ed è per questo che credo nella scienza e mi sono vaccinato (dopo peraltro essere stato ricoverato per covid lo scorso febbraio). Mi informo presso i miei medici di fiducia e seguo le direttive del governo del mio paese.
Il ritorno delle esecuzioni “in presenza” è una tappa importantissima del processo di normalizzazione delle nostre vite, sebbene in teatri a capienza ridotta e le alternative tecnologiche (vedi gli streaming che hanno riempito i siti dei teatri nello scorso anno e mezzo) hanno urgente bisogno di una regolamentazione legislativa che veda riconosciuti agli interpreti i giusti diritti connessi. La crisi deve essere occasione per darci regole nuove e rispettose per il bene di tutti
Hai già pensato di trasmettere ai giovani la tua importante esperienza? Pensi che nel tuo futuro ci sarà posto anche per l’insegnamento?
Sempre di più, data la mia età e la lunghezza della mia carriera, mi trovo a incontrare giovani colleghi che mi chiedono lezioni. Io dico sempre che, da collega più esperto, posso solo dare qualche consiglio basato sulla mia esperienza e sulla fortuna di aver potuto incontrare grandi direttori, registi e colleghi. Il nostro è un mestiere in cui è necessario “rubare” da tutti: osservare, capire, ascoltare, fare propri i pregi degli altri… Negli ultimi anni poi ci sono delle istituzioni come l’Accademia Verdiana, l’Aslico e Lo Sperimentale di Spoleto (grazie al cui concorso ho cominciato a muovere i primi passi nel mondo dell’opera e a cui sarò sempre infinitamente riconoscente) che mi onorano della loro fiducia e mi chiedono di contribuire al processo di formazione dei loro allievi. É per me una esperienza straordinaria. Alla fine dei giorni di lezione, sono sempre io che imparo più di loro, ma non facciamoglielo sapere…
Dopo queste recite milanesi hai già qualche impegno che ci puoi segnalare?
Sarò Figaro nel Barbiere al Comunale di Bologna e Raimbaud ne Le Comte Ory in una registrazione discografica e concerto a München, poi Dulcamara a Tokyo e Don Pasquale a Helsinki per poi tornare a Dulcamara con la BBC Orchestra e poi… un paio di cose che non posso dire (non è stato ancora reso noto il cartellone dei teatri) e un debutto importante ancora da definire nei suoi dettagli.
Danilo Boaretto