Incontriamo il Maestro Ottavio Dantone a Bagnacavallo, nella sede stabile dell’Accademia Bizantina che il Comune mette a disposizione da qualche anno. Qui l’orchestra si ritrova tra una tournée e l’altra, prepara i nuovi programmi e spesso sfrutta l’ottima acustica del teatro Goldoni per le proprie incisioni: un’isola felice, un eremo dove poter lavorare con calma perché la situazione è diversa da quella di una grande città, qui siamo calati in un'atmosfera rilassata dove si può lavorare con calma, così il maestro descrive le condizioni ideali trovate in questo bel paese della pianura ravennate, in cui ogni anno presenta un programma di concerti piccolo ma prezioso, Libera la musica.
Quest’anno la stagione di "Libera la Musica" presenta solo due date, a differenza degli altri anni. Come mai? Inoltre, riuscirete a riproporre il Festival di musica barocca "Humana Follia", saltato per l’epidemia?
Tutto dipende dai finanziamenti alla cultura, sui quali per il momento non abbiamo molte certezze. Speriamo però di poter integrare la programmazione in un secondo tempo, se arriveranno buone notizie in questo senso, con l’auspicio di poter inserire nuovamente Humana Follia, importante per ribadire la nostra presenza sul territorio che ci ospita.
Siete stati nominati tra le dieci orchestre migliori dell’anno a livello mondiale nell’ambito del Gramophone Award, un riconoscimento di grande prestigio. Come avviene la nomination?
La rivista Gramophone consulta un numero consistente di critici musicali internazionali, non solo tra i redattori della rivista. Su questa base stila un elenco delle dieci orchestre più votate. Poi la vittoria dipende dalle preferenze espresse online dai follower. Siamo arrivati secondi per non molti voti, e primi in Europa davanti a orchestre prestigiose come i Berliner Philharmoniker e un’altra importante orchestra barocca, l’Academy of Ancient Music. Per noi una importante promozione, oltre alla soddisfazione di essere stati indicati da una giuria di prestigio, niente male per un’orchestra che ha sede a Bagnacavallo.
Lei è testimone e protagonista di gran parte dello sviluppo della musica antica in Italia. Qual è lo stato attuale del barocco italiano nel contesto internazionale?
È una storia che io ho vissuto in prima persona perché ho un’età che mi ha visto da ragazzo, sia come spettatore ai concerti che come ascoltatore di dischi, avere come punti di riferimento quasi esclusivamente gruppi stranieri, qualsiasi fosse il repertorio. Parlo anche del repertorio italiano perché in Italia i cosiddetti pionieri della musica barocca sono venuti un po' più tardi rispetto, ad esempio, ad Harnoncourt e Leonhardt e anche alle orchestre che ai tempi erano olandesi e inglesi, o svizzere, a Basilea e a Ginevra. Mi ricordo che quando ero ragazzo andavo alla stagione di musica antica più importante di Milano, a San Maurizio, nei primi anni Ottanta; avevo vent’anni anni ma già da prima andavo ai concerti di Savall, Leonhardt, Kujiken perché non c'erano ancora orchestre italiane per così dire formate e rinomate in campo internazionale.
Poi piano piano durante gli anni Ottanta nasce il Giardino Armonico, mentre l’Accademia Bizantina non ha cominciato come orchestra barocca ma poi lo è diventata, poi l’Europa Galante e altri.
Dopo cosa è successo?
È un fenomeno strano: finalmente viene sdoganato il discorso della musica antica che prima era considerata in Italia come qualcosa per dilettanti.
Mi ricordo ancora i festival e i corsi di musica antica di Urbino e di Pamparato dove venivano anche insegnanti molto importanti, però l'atmosfera era abbastanza goliardica: diciamo che c'era molto dilettantismo accanto a personaggi che cominciavano a venire fuori però con poche possibilità di inserirsi in gruppi, perché ai quei tempi non era facile trovare degli ensemble già strutturati. Comunque attorno agli anni Ottanta il fenomeno comincia a nascere e a crescere.
E cosa succede?
Succede che si dà allo studio della musica antica un'importanza che nel caso dell'Italia è legata anche alla facilità della lingua, proprio la lingua italiana. Quando un italiano sa e ha una coscienza estetica e si mette a studiare, si accorge che in realtà capisce molto più facilmente un linguaggio musicale che nel Sei/Settecento faceva scuola non solo in Italia ma anche all’estero. La profonda conoscenza della lingua non si limita al canto, ma si trasferisce anche alla musica strumentale perché c’è un legame fra la musica e la sua lingua d'origine. Bisogna tener conto del fatto che in quei secoli l’Italia era considerata un luogo in cui chiunque volesse cominciare una carriera doveva passare per imparare lo stile, il buon gusto e altro.
Nella seconda metà Novecento, con la riscoperta del repertorio rinascimentale e barocco, ci si accorge che bisognava fare un cambiamento che partiva sì dagli strumenti antichi, ma non poteva limitarsi solo a questo. Adesso è cambiato, si è bypassato il problema dello strumento nel senso che lo strumento è chiaramente importante perché senza quello non si riescono a dare le articolazioni giuste, ma soprattutto è il linguaggio, la profondità dello studio sul linguaggio. Parlo quindi della retorica e del rapporto fra musica e retorica, il riconoscimento di determinate situazioni e figure, perché sappiamo bene che nella partitura del Settecento non c’è niente, ci sono le note, non ci sono neppure le dinamiche. E allora cosa fai, te le inventi? No in realtà tutto può essere molto scientifico in partenza perché si possono dedurre moltissime cose relative al linguaggio, all’ estetica, allo stile non soltanto attraverso i trattati, ma anche dallo studio di che cosa potevano avere in mente quando pensavano e quando scrivevano le note. Questo in pratica ha trasformato le orchestre barocche italiane in una macchina di linguaggio assai comunicativa.
In realtà il Barocco ha cominciato a diventare veramente alla moda perché è diventato comprensibile, cosa che prima non era tanto. Anche i primi tentativi con semplici strumenti barocchi riguardavano persone che tenevano in mano uno strumento diverso ma in realtà non avevano capito come ricavarne qualcosa. Poi è intervenuta quella che chiamano fantasia e estroversione dei gruppi italiani, cosa che in realtà deriva dal fatto che abbiamo dei mezzi di riconoscimento del senso profondo della scrittura musicale attraverso la lingua che per noi è un fatto naturale, che non ha bisogno di mediazioni.
A proposito della lingua, si nota una crescita nella pronuncia e nella cura della lingua cantata rispetto agli anni Ottanta e anche Novanta.
Questo ha determinato un certo successo non solo delle orchestre ma anche dei cantanti italiani in questo repertorio perché ci si è accorti che la pronuncia corretta è un fatto puramente musicale. Rispetto agli anni precedenti un cantante straniero che non parla perfettamente l’italiano è costretto molto di più ad affrontare seriamente la difficoltà della pronuncia perché certi appoggi, o il battere e il levare, sono modellati sugli accenti della lingua italiana.
Lo sviluppo della musica antica a partire dagli anni Settanta ha vissuto a lungo di vita propria, isolata se non malvista, anche a causa dell’uso degli strumenti antichi. Qual è lo stato attuale della recezione della musica barocca?
Ancora oggi c'è qualcuno che pensa perché utilizzare strumenti antichi quando ci sono quelli moderni, e fanno ancora delle distinzioni. Il punto è che se vuoi trasmettere qualcosa in maniera corretta devi avere lo strumento giusto. C’è stata una concomitanza tra l’uso dello strumento antico e una coscienza estetica che ha portato a risultati tecnicamente di altissimo livello e i critici se ne sono accorti quando, ascoltando registrazioni o concerti con strumenti moderni, non associati a quel processo di coscienza esecutiva, hanno avvertito la differenza. L’esecuzione con strumenti antichi per questo risulta più chiara, più comprensibile. Una cosa che non va fatta è suonare la musica barocca senza sapere qual è il suo significato: c’è un’eloquenza, una varietà di sfumature e di affetti tale che diventa qualcosa che parla anche in assenza di strumenti, ha un linguaggio, e questo spiega il crescente successo della musica barocca. La lettura di una data figura musicale retorica può essere interpretata in modi diversi, tutti giusti, poi ce ne sarà una più convincente di altre, ma questo porta alla grande varietà tipica della musica barocca e al fatto che più versioni possano essere molto diverse tra loro. Questo fa sì che si esuli da un unico punto di riferimento, che ci si confronti con più letture, tutte sensate perché l’ascoltatore non deve necessariamente legarsi ad un’unica versione, ma può attingere a proposte diverse. Noi stessi ci apprestiamo a reincidere Corelli dopo dodici anni operando un cambiamento totale. Cosa c’è di diverso? Ad esempio un accumulo di esperienza, una nuova sensibilità, un’evoluzione nella lettura. Questo per onestà intellettuale ma anche per la ricerca di una soluzione differente, più comunicativa.
A proposito di pubblico, voi suonate in tutto il mondo. Trovate delle differenze tra i vari pubblici?
In generale all’estero c’è molto entusiasmo. Il pubblico straniero si attende sempre molto dai gruppi italiani, qualcosa di speciale, cercano sempre in noi qualcosa di estroverso. Bisogna aggiungere che nei pubblici stranieri si avverte la maggiore educazione musicale di base rispetto all’Italia, dove l’educazione musicale andrebbe perseguita e diffusa perché credo che la musica sia una medicina, da considerare come qualcosa che accresce il benessere della società. Bisogna imparare a riconoscere la bellezza, è una ricerca che impedisce l’abbrutimento. So che questo è un discorso difficile e delicato perché può sembrare che noi artisti siamo un’élite; in realtà credo che questa barriera non debba esistere e vada abbattuta assolutamente.
Come le è venuta l’ispirazione di dedicarsi alla musica barocca in un periodo in cui si era agli esordi di questo fenomeno?
Io non provengo da una famiglia di musicisti. Un Natale, avevo quattro o cinque anni, mi regalarono una tastiera giocattolo di dodici tasti. Provando e riprovando ho cominciato a suonare e comporre da solo. Se fossi stato in un’altra famiglia mi avrebbero mandato a scuola di pianoforte, ma a me non è successo. Ho avuto un approccio totalmente empirico alla musica che mi ha portato a considerarla come qualcosa da costruire un po’ alla volta. A nove anni ho cominciato a fare il chierichetto in parrocchia a Milano. In chiesa c’era un organo ed io ero incantato dal suo suono. Il parroco mi permetteva di suonare l’armonium in sagrestia, e ogni tanto anche l’organo.
In questa chiesa veniva a dire messa un sacerdote che era uno dei responsabili della Cappella del Duomo di Milano. Fui ammesso ai cantori del Duomo. Lì si faceva molta polifonia antica e si viveva come in collegio, si facevano anche le vacanze assieme. Eravamo otto per classe, in tutto quaranta cantori. Lì ho passato quattro anni. L’organista incaricato mi ha dato le prime lezioni di pianoforte, poi mi sono iscritto alla classe di Organo del Conservatorio di Milano. Tra organo, polifonia e madrigali la mia formazione è stata molto influenzata dalla musica antica. Già da studente di organo ho iniziato il clavicembalo come passaggio naturale. Suonavo molto Bach da cui la consuetudine con entrambi gli strumenti. A diciassette anni mi sono costruito il primo clavicembalo. Poi nel 1986 ho vinto il concorso di Bruges, con Gustav Leonhardt in giuria, e con i soldi del premio ho comperato un altro clavicembalo. Li ho ancora entrambi. Come organista ho fatto concerti nelle varie chiese suonando organi diversi, seguendo la vocazione itinerante dell’organista che prova questi strumenti per passione, non per arricchirsi. In pratica sono cresciuto dentro il mondo della musica antica.
Negli ultimi anni in Italia, nei Conservatori, sono state attivate molte classi di barocco, in cui insegnano molti nomi noti. Si vedono già gli effetti sulla formazione dei giovani interpreti?
Secondo me sì, questa scuola italiana del barocco avrà continuamente un seguito. Tutto questo non può che produrre miglioramenti, ad esempio ho appena ascoltato una giovane cantante, molto brava. Anche alcuni miei strumentisti insegnano in vari conservatori. Io stesso ho insegnato a Mantova e a Torino, compatibilmente con i miei impegni. Poi, essendo continuamente in giro, diventa sempre più difficile e non possono accettare cattedre mentre se posso faccio delle master class.
A proposito di scuole, in Europa ci sono alcune grandi scuole storiche per la musica antica come Basilea, Ginevra o Amsterdam. Si intravede la possibilità che anche in Italia si crei una grande scuola di riferimento, o siamo sempre dispersi sul territorio?
In Italia siamo un po’ dispersi. Forse la realtà più specifica è la Scuola Civica di Milano, o anche il Conservatorio di Padova. Non c’è un centro internazionale, ma penso che in questo momento il livello di insegnamento in Italia sia ottimo, soprattutto per quello che riguarda gli autori italiani, sempre per il discorso legato alla lingua cantata e alla lingua musicale. Personalmente ho un tale rispetto per la lingua che dirigo quasi esclusivamente opere in italiano.
Un direttore con i suoi impegni trova il tempo per le riscoperte di partiture antiche? Quali strade segue in questa ricerca?
Oggi è molto facile accedere ai manoscritti, anche online. Noi lavoriamo con un musicologo, Bernardo Ticci. Ha collegamenti con le biblioteche di tutto il mondo, per cui se gli chiediamo qualcosa ce la fornisce subito. Ci dà anche suggerimenti molto interessanti, inoltre quando ne abbiamo bisogno ci fa l’edizione moderna partendo dall’originale. Abbiamo ancora tonnellate di musica da scoprire, questo è un settore cui mi dedicherei con passione se potessi disporre del tempo necessario.
I direttori barocchi spesso sforano nei repertori di 800/900. Il contrario invece è più raro. Come se lo spiega?
Simon Rattle, che ama molto il barocco, ha diretto recentemente a Berlino la Freiburger Barockorchester in un’opera francese del Settecento. Poi ha fatto anche uno sketch con Emmanuelle Haim, è salito sul podio e ha diretto un’overture. Però è raro. I direttori barocchi sono richiesti anche dalle orchestre moderne perché la lettura di qualsiasi repertorio, vista dalle origini e dal pregresso, offre delle suggestioni diverse. Io dirigo molto Rossini e anche orchestre sinfoniche moderne. La mia lettura è condizionata non tanto dal passato, ma dal processo attraverso il quale si è arrivati a quel punto. La storia, e anche la storia della musica, è collegata da tanti piccoli eventi, un filo continuo che può portare ad una lettura diversa.
Per cui, nel vostro lavoro di interpretazione, che attenzione ponete agli eventi paralleli, alle correnti di pensiero, alle altre forme artistiche contemporanee alle opere su cui state lavorando?
I riferimenti sono continui alla filosofia, ai costumi correnti, alla storia per potersi calare in un mondo con lo scopo di poter comunicare le emozioni contenute nella musica. Senza queste conoscenze è impossibile trasmetterle. Dal punto di vista della fruizione musicale, il nostro è un momento storico in cui consumiamo continuamente musica che proviene dal passato, cosa che una volta non avveniva, una volta la musica era in gran parte contemporanea. Da qui la necessità di indagare sul passato storico.
Una domanda di attualità. Danilo Rossi, con la sua lettera al Corriere della Sera, ha sollevato il problema della scarsa considerazione che i vincitori di grandi concorsi musicali hanno avuto rispetto agli atleti olimpionici e ai campioni europei di vari sport. Cosa ne pensa?
Danilo Rossi ha sollevato una questione importante. Questo grido che ha lanciato ha avuto un riscontro importante che ha smosso un po’ i rappresentanti della politica. Ha avuto una diffusione virale, speriamo che ci siano ricadute tangibili.
A proposito di giovani, nel mondo della musica si nota un numero crescente di ragazzi, spesso sotto i trent’anni, che cantano e suonano con notevoli capacità. Secondo lei è più semplice intraprendere una carriera musicale nel barocco o nel repertorio classico?
Dipende dallo strumento che si suona, e comunque la carriera di solista in generale è più complessa. Chi invece fa musica d’insieme ha più possibilità. La musica barocca è musica d’insieme per antonomasia, per questo offre più probabilità di vivere di musica.
In questo momento, a quali novità state lavorando?
Stiamo lavorando a diverse incisioni, dedicate ai concerti grossi di Corelli, Händel e Geminiani, tre autori tra i quali intravediamo un legame. Poi incideremo le sinfonie di Schumann e Mendelssohn che avevamo già fatto dal vivo quest’estate al Ravenna Festival.
In Europa abbiamo impegni in diverse sale, sperando che l’attività prosegua normalmente. Ad esempio saremo al Barbican e al Theater An Der Wien.
Daniela Goldoni