Mark Steven Doss è un bass-baritone che abbiamo avuto modo di apprezzare su svariati importanti palcoscenici del nostro Paese dai tempi del suo debutto alla Scala avvenuto nel 2004 nel ruolo di Escamillo in Carmen sino all’impegno dello scorso anno all’Opera di Roma come protagonista del titolo di Leoš Janáček, Da una casa di morti. Un artista poliedrico che in oltre trentacinque anni di carriera ha interpretato oltre cento diversi ruoli; esperienze internazionali che lo rendono particolarmente interessante e ci spingono ad avvicinarlo per questa chiacchierata.
Mark Steven, ci racconteresti come ti sei avvicinato alla musica ed in particolar modo all’opera lirica?
Durante i miei primi anni di scuola cattolica (dai 5 ai 10 anni) c'erano dei talent show a cui partecipavamo tutti e che ci permettevano di cantare in lip syncle canzoni popolari dei Jackson 5, Stevie Wonder, i Temptations, ecc.; queste canzoni mi piacevano molto e, anche se non ero su un palco, le cantavo con la mia voce. Successivamente ho iniziato a frequentare una scuola pubblica (all'età di 12 anni) e l'insegnante di musica annunciò che ci sarebbe stato un concerto di primavera e che chiunque avesse voluto partecipare avrebbe potuto farlo. Mi chiese di cantare l'assolo del Wells Fargo Wagon da “Music Man” e, dopo che l’ebbi eseguito un paio di volte, lei esclamò che era assolutamente bellissimo e che sarei potuto andare subito a New York e fare un sacco di soldi. Questo mi spaventò alquanto, così non cantai più per molto tempo e sicuramente non in pubblico.
Poi, qualche anno dopo (forse all'età di 16 anni), il mio amico e mentore, fr. Hugh Henderson, C.PP.S (Missionario del Preziosissimo Sangue), mi chiese se volessi cantare l'Ave Maria di Schubert per un servizio funebre dove lui era stato invitato a suonare l’organo. Accettai, ma effettivamente presi un po’ troppe stonature e l'esperienza non fu molto positiva. Poi iniziai a vedere i film di Mario Lanza in TV: in particolare ricordo un film in cui un baritono (Lawrence Tibbett) rompeva un bicchiere con gli acuti nell’Aria del Toreador, e vidi anche una o due trasmissioni in televisione dal Metropolitan Opera. L’opera iniziò ad affascinarmi e, dato che ero entrato nel coro per guadagnare crediti extra per il diploma di maturità, l'insegnante di musica mi disse che il Metropolitan Opera stava per arrivare alla Music Hall di Cleveland e, siccome avevo espresso interesse (soprattutto per questa aria cantata da Tibbett nel film) mi chiese se fossi interessato a fare la comparsa per l’allestimento di Aida del Met. Accettai, fui pagato 8 dollari e salii sul palco con James Levine che dirigeva il Met in tournée. Questo indusse il mio insegnante di recitazione (un altro corso frequentato solo per ottenere crediti extra per diplomarmi in anticipo), a chiedermi se volevo partecipare a una produzione di Godspell che metteva in scena. Dissi di sì, il che spinse il direttore della banda a chiedermi se volevo partecipare a un progetto estivo a Cleveland relativo alla formazione degli studenti lavoratori in recitazione, canto e danza. Fui accettato, e affrontammo prove di recitazione, canto e danza per oltre un mese e poi mettemmo in scena una produzione (un adattamento originale) di The Wizard of Oz di Frank Baum, in cui interpretai la parte di Daniel Gale, originario del Kansas.
Ero la versione maschile del ruolo interpretato da Judy Garland nel film della MGM. L'anno successivo entrai nel seminario cattolico del St. Joseph's College nell'Indiana, e frequentando corsi di musica e canto per aiutarmi con il mio ministero, scoprii che il direttore del dipartimento, il dottor John Egan, era un laureato dell'Università dell’Indiana. L'unica insegnante di canto dell'università era un po' inesperta, soprattutto quando si trovava di fronte a un giovane cantante che mostrava un certo talento, così chiese al dottor Egan cosa avrebbe dovuto fami cantare. Lui le diede l'aria del Catalogo di Leporello e “Non più andrai” di Figaro. All'epoca non ero al livello di poterli neanche sfiorare ma come professionista avrei ricevuto in seguito recensioni entusiastiche per le mie interpretazioni di questi due personaggi mozartiani.
Lasciato il seminario prima di lasciare il St. Joseph's College, mi sono laureato all'Indiana University (a Bloomington, Indiana) e ho cantato sette ruoli d'opera prima di conseguire il Master. Poi, ho fatto parte del programma giovani cantanti della Santa Fe Opera, e sono stato membro dell'Ensemble della Lyric Opera di Chicago, per poi passare direttamente al Metropolitan Opera come cover nel “Samson” di Händel, con Jon Vickers nel ruolo principale. Il resto è storia…
A chi devi la tua formazione tecnica vocale?
Sono stato molto fortunato ad avere avuto insegnanti di canto che mi hanno dato idee progressive sull’emissione vocale, il che mi ha permesso di sostenere una lunga carriera, con la possibilità di continuare a migliorare la voce anche se ora mi trovo in una fase molto matura del mio sviluppo vocale. Questi insegnanti sono stati: Marilyn Holt, dalla quale ho imparato a cantare in modo intonato, pur iniziando con una estensione più acuta di quella che avrei dovuto - grazie alle influenze di Mario Lanza; Dan Vander-Linden, che mi ha insegnato ad usare una posizione bassa della laringe e a cantare con la mia voce naturale di basso/baritono, Dorothy Linden-Krieg, che mi ha insegnato a cantare i gravi estremi di Sarastro nel “Flauto Magico”; Joseph McCall, che mi ha insegnato un controllo del fiato ultra-efficiente, ad usare il legato con uniformità attraverso i registri vocali; Walter Cassel, che mi ha insegnato a far galleggiare la voce su un cuscino d'aria, a proiettare la voce con i suoi esercizi di riscaldamento canticchiando con la consonante “M” e a imparare ad usare tutta la mia estensione vocale che ora può avvalersi efficacemente di tre ottave; Nicola Rossi-Lemeni, che mi ha insegnato l'uso di certi vocalizzi e interpretazioni drammatiche che danno colori alla voce e schemi di emozioni per rendere più semplice l'apprendimento di certi repertori; e Carlo Bergonzi, da cui ho imparato ad ascoltarmi veramente e a rallentare i miei impulsi per allontanarmi da una linea vocale lentamente sostenuta che non finisce mai.
Nel 1986 vincesti il primo premio al Concorso Voci Verdiane di Busseto, uno dei concorsi storici e fra i più importanti in assoluto. Sull’albo d’oro del concorso (vedi link) sei classificato come basso. Rammenti cosa cantasti ed in generale che ricordo hai di quell’esperienza italiana?
La vittoria del primo premio al Concorso Verdi è uno dei ricordi più profondi di tutta la mia vita e della mia carriera. Per la prova finale ho cantato (con orchestra) "Ella giammai m'amò" di Filippo II, che è forse più da basso-baritono rispetto alle altre selezioni che cantaiprima della prova finale del concorso. Tre anni prima avevo cantato il duetto Filippo/Inquisitore come mia scena operisticaalla Santa Fe Opera, nella parte dell'Inquisitore. In seguito ho cantato l’aria/ruolo (Philippe II) in francese con la Boston Lyric Opera e ho avuto la possibilità di fare una prova generale con la San Francisco Opera sotto la direzione musicale di Nicola Luisotti. Ma le prime arie che ho cantato per il Concorso Verdi sono state "Il lacerato spirito" di Fiesco da “Simon Boccanegra”, "O, tu, Palermo" di Procida da “I vespri siciliani "e "Infelice" di Silva da “Ernani,"con cabaletta. Ricordo soprattutto Attilio Carini, il sarto con cui parlavo solo in italiano, che alla fine gridava: "Mark, tu hai VINTO!!!". È stato tutto molto simile a un sogno.
Inizialmente ti sentivi più basso o baritono?
Ho cantato al Metropolitan Opera District Competition per la prima volta a soli 21 anni e sono stato estremamente fortunato a passare al turno successivo (le regionali) a Chicago. Le mie cinque arie erano: (1) "Di Provenza" di Germont da “La traviata”, (2) O Isis und Osiris da Il flauto magico, (3) "Avant de quitter" (dalla versione dell'antologia, che era un tono piùgrave in re maggiore - non realizzato da me, ma segnalato da uno dei giudici, (4) O du mein holder Abendstern" da Tannhäuser, e "Vecchia zimarra" da “La bohème”. Il commento più memorabile di uno dei giudici è stato: "Deve decidere se essere un basso o un baritono, o non avrà mai una carriera qui (al Metropolitan Opera). I miei due incarichi al MET sono stati Manoah nel “Sanson” di Händel (praticamente un basso-baritono) e Jochanaan nella “Salome” di Strauss, anch'esso un basso-baritono. Ma mentre mi avvicino ai 40 anni di carriera, continuo a cantare con grande efficacia i ruoli sia di basso che di baritono. Attualmente, dei miei 103 ruoli d'opera interpretati, posso contare circa il 60% come basso e circa il 40% come baritono. Cantando i ruoli di Macbeth nel 2016, poi Nabucco e Rigoletto nel 2019, e l'ultimo Germont nel 2023, direi che i miei acuti siano oggi più facili di quanto non siano mai stati in precedenza; il mio ultimo ruolo del Padre nell’”Eurydice" di Matthew Aucoin, mi ha però riportato a una tessitura più grave, che sto ancora cantando con un buon grado di comfort.
La tua vocalità un po’ particolare, dotata di notevole estensione, ti ha portato più benefici o svantaggi? Ci riferiamo alle difficoltà che inizialmente potresti aver avuto per la scelta del corretto repertorio.
Se si dà un’occhiata ai miei ruoli proprio all'inizio della mia carriera si nota che dominano quelli di basso lirico, ma la situazione è cambiata un po’ verso il quinto anno di attività, con il mio primo Escamillo al Lyric Opera di Chicago, e con la mia ultima recita di quel ruolo al Teatro Regio di Torino, conclusasi con l'interpretazione n. 123 del ruolo. All'inizio della mia carriera è stato vantaggioso essere ingaggiato frequentemente e lavorare con un'agenzia (la Dispeker) specializzata nel repertorio concertistico, che ha una buona parte del suo repertorio per bassi-baritoni e non richiede tanto l'uno o l'altro a meno che non ci siano evidenti esigenze di estensione. Nei primi anni della mia carriera ho cantato Sparafucile, Mefistofele, Leporello, Figaro di Mozart, Raimondo in “Lucia di Lammermoor”, e Don Basilio nel “Barbiere”, oltre a molte esecuzioni di “Messiah”, “La Creazione”, “Messa da Requiem” di Verdi, “Elias” di Mendelssohn e la “Nona Sinfonia” di Beethoven, per cui ho visto ben pochi svantaggi. Eppure, è un dato di fatto che ancora nel 2015 chiedevo a quasi tutti i coach, o spartitisti, con cui studiavo o ripassavoi miei ruoli, se pensavano che il repertorio più adatto alla mia voce fosse quello del basso o del baritono. È stato solo quando ho fatto un programma online durante la pandemia chiamato Fachually Correct (in cui ho fatto sentire grandi bassi, bassi-baritoni e baritoni che cantavano arie famose, seguendoli io stesso direttamente dopo) che sono arrivato a capire meglio cosa fossi in grado di cantare riguardo a quei Fach (registri). Se solo avessi saputo allora quello che so adesso....
Dai tuoi inizi di carriera sino ad oggi come si è evoluta la tua vocalità e nel caso, sei intervenuto anche a livello tecnico?
Almeno in parte credo di aver risposto a questa domanda nelle mie risposte precedenti. Ascoltare i grandi bassi del passato, come Siepi, Ghiaurov, Tozzi, Hines, Pinza, ecc. mi ha insegnato molto, e nel capire meglio come emettevano i suoni ho migliorato notevolmente la mia emissione vocale. Ascoltare George London, José van Dam, Tom Krause, Walter Berry, Eberhard Wächter, ecc. mi ha sicuramente aiutato a rendere omogenei i miei registri; e l'ascolto di grandi baritoni, come Ettore Bastianini, Sherrill Milnes, Piero Cappuccilli, Robert Merrill, ecc. ha reso i miei acuti più sicuri e folgoranti nel corso degli anni. Il mio regime quotidiano di stretching, esercizi di salto con la corda e un hula hoop appesantito per mantenere forza e flessibilità continua ad aiutare la mia emissione vocale. In questo modo direi che sì, continuo a intervenire per fare sempre più progressi vocali.
Quali sono le difficoltà maggiori che hai dovuto superare per sviluppare la tua professione?
Il mio secondo insegnante di canto mi disse molto schiettamente che avrei sì potuto diventare un cantante professionista, ma che avrei dovuto lavorare molto intensamente sulla mia musicalità. Questapuò andare e venire man mano che le richieste di un nuovo repertorio richiedono l'uso di molte tecniche diverse nell'approccio musicale a quel repertorio. Fare qualcosa molto bene (opera, recital, oratorio o programmi di concerti specializzati) e poi non poterci tornare subito dopo è qualcosa che diventa frustrante perché si presume che, avendo fatto qualcosa bene una volta, ci verrà subito chiesto di rifarlo, ma non è così, quindi superare questo problema richiede una buona conoscenza di come funziona il mondo del lavoro e sapere che, dopo un successo, spesso bisogna far sapere agli altri con molta franchezza che si può fare con facilità quello che altri non sono in grado di fare con altrettanta agevolezza.
C’è qualcuno che ti ha consigliato correttamente e che ritieni sia stato fondamentale nel corso della tua carriera?
Matthew Epstein, che prima che lo incontrassi 40 anni fa quando facevo parte del programma giovani cantanti dell'Opera di Santa Fe era a capo della Columbia Artists Management; i maestri spartitisti della Lyric Opera di Chicago, come Donna Brunsma e Richard Boldrey, sono stati molto utili con i loro consigli, così come Salvy e Joe Monastero della Bel Canto Foundation; Beverly Sills, che era la direttrice generale della New York City Opera quando ho iniziato la mia carriera; Luca Targetti, che era il direttore del casting alla Scala quando vi ho cantato tutti gli otto ruoli principali; Carlo Bergonzi, che in realtà si ricusò come giudice del Concorso Verdi (prima che vincessi il Primo Premio) perché avevo studiato con lui, e mi mandò anche dall’agente più influente che abbia mai avuto, Beatrice Ferraro a Milano.
Qual è il tuo approccio a una nuova partitura e alla musica in generale?
Il mio approccio musicale è molto analitico, quindi di solito inizio con le parole, inserendole in singole frasi, con numeri assegnati a ciascuna. Poi le inserisco in programmi di flashcard sul mio computer, come Anki, iFlash, Word Torture, Flashcards NKO, ecc., evidenziando le parole alla maniera di Stanislavski, con doppie sottolineature sotto i nomi e i nomi propri, poi singole sottolineature sotto i pronomi, e corsivo per i verbi e gli aggettivi (a volte anche in grassetto). Poi, dopo aver cantato i passaggi in solfeggio, di solito inserisco tutta la musica in un programma di notazione, come Finale, Encore, MuseScore e/o MusicTime. Poi faccio dei raggruppamenti di frasi che potrebbero adattarsi a una certa sezione della musica che esprime idee specifiche. Poi, davanti a un'applicazione di metronomo (a volte 4 contemporaneamente in diverse modalità di conteggio), canto la musica con la massima precisione possibile, a tempi più lenti e più veloci di quelli indicati con le applicazioni chiamate iRehearse o Perfect Tempo. Cercando di ottenere una totale libertà con la musica, la canto mentre mi destreggio con tre palline o con una o due palline singole molto pesanti. Gioco anche con le sciarpe e cerco di farlo mentre un hula hoop appesantito mi gira rapidamente intorno alla vita. Le parole vengono studiate di nuovo per trovare significati aggiuntivi e a volte scrivo gesti drammatici che mi aiutino a ricordare le parole, spesso esagerando con l'uso della pantomima. A volte tendo ad anticipare il ritmo, quindi per contrastare questa tendenza uso i concetti di ciò che cerco di praticare con il tennis o il ping-pong, cioè alternare il colpo alla palla in anticipo, poi proprio al culmine della sua salita, e infine un po' più tardi, mentre la palla sta cadendo. In generale, però, quando aggiungo l'enfasi di Stanislavski sui sostantivi, arricchendo le parole con consonanti esagerate e vocali pure, di solito riesco ad allungare il fraseggio della mia musica e a farla suonare più organica.
Quali sono i ruoli che ti hanno dato maggiori soddisfazioni ed ai quali ti senti maggiormente affezionato?
I ruoli che mi hanno dato maggiori soddisfazioni sono stati Jochanaan in “Salome”, L’Olandese Volante, Macbeth, Rigoletto, Nabucco, Filippo II, Amonasro, Zaccaria e Attila di Verdi, il Mefistofele di Boito e quello di Gounod, i quattro antagonisti ne “Les Contes d’Hoffmann”, Escamillo, Scarpia, Balstrode in “Peter Grimes”, Tonio in Pagliacci, Leporello e Figaro ne “Le nozze di Figaro”.
Con quali criteri si è sviluppato il tuo repertorio nel corso degli anni?
Credo che sia abbastanza evidente che, all'inizio della mia carriera, ho utilizzato l'esperienza acquisita nei ruoli di basso per passare ai ruoli di baritono più acuti e spesso più impegnativi. Ci sono certamente ruoli di basso molto impegnativi, ma con la base di un sistema di sostegno del fiato molto potente sono stato in grado di tornare alla risonanza più piena del basso quando quei ruoli richiedevano una legittima estensione nel registro più grave. Quando canto ruoli baritonali più acuti, ora uso la profondità del mio strumento vocale per sostenere questa tessitura più acuta con grande facilità, confidando in ciò che faccio con successo da molti anni.
Fra gli innumerevoli ruoli che hai interpretato quale ti ha creato maggiori difficoltà?
Di tutti i ruoli che ho studiato completamente ce ne sono stati alcuni che sono stati difficili da conquistare all'inizio ma la mia mente è quella di un ingegnere, avendo ottenuto un punteggio molto alto in ragionamento meccanico, quindi se c'è un progetto/ruolo difficile, di solito sono stato in grado di imparare il vocabolario del compositore, e di entrare poi nel personaggio, in modo che le parole e la musica siano semplicemente un modo per trasmettere ciò che il personaggio vuole esprimere.
Hai ancora un ruolo che desidereresti cantare per la prima volta?
Sì, ci sono sicuramente una manciata di ruoli che mi piacerebbe cantare e che mi sono stati talora offerti, anche se di solito qualcosa alla fine non è andato come avrei voluto. Ho studiato ed imparatoe provato parzialmente i ruoli di Don Giovanni, Wotan in “Das Rheingold” e “Die Walküre”, Wandererin “Siegfried", così come Zurga ne “I pescatori di perle”, Méphisto in “La damnation de Faust” di Berlioz, Hans Sachs in “Die Meistersinger”, Don Quichotte nell'omonima opera di Massenet, Gérard in “Andrea Chénier”, Michele in “Il tabarro”, Jack Rance in “La fanciulla del West”, Sharpless in “Madama Butterfly, ”Lescaut in “Manon Lescaut” di Puccini, Guillaume Tell nell'omonima opera di Rossini, Gianni Schicchi di Puccini, Renato in “Un ballo in maschera”, “Boris Godunov “di Mussorgsky, Osmin ne “Il ratto dal serraglio”, “Mosé in Egitto” di Rossini, Rodolfo in “La sonnambula”, Gremin in “Evgenj Onegin”e Nick Shadow in”The Rake’s Progress” di Stravinsky. Se dovessi interpretare questi 22 ruoli, si aggiungerebbero ai 103 che ho già interpretato e il mio totale sarebbe di 125.
Sappiamo che sei ancora in ottima forma vocale. A questo punto della tua carriera quali sono i ruoli che ti piacerebbe interpretare con la convinzione di poter portare un utile contributo derivante dalla tua considerevole esperienza?
Sì, l'esperienza può fare una grande differenza per ruoli come Boris, Wotan (in “Die Walküre”), L'Olandese, Jochanaan, Simone (in “Eine Florentinische Tragödie”), Balstrode in "Peter Grimes”, Scarpia in “Tosca", Filippo II, Macbeth, Nabucco, Rigoletto, Zaccaria, e almeno altri dieci della lista di ruoli che devo ancora cantare.
Quali sono i teatri a cui leghi i ricordi più piacevoli?
I teatri italiani che rappresentano sicuramente i miei ricordi migliori, sono principalmente La Scala, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro dell'Opera di Roma, l'Arena di Verona e La Fenice di Venezia. Se poi considero che il mio primo contratto professionale è stato con il Metropolitan Opera, anche questi sono ricordi molto piacevoli, e ho avuto molti successi con La Monnaie di Bruxelles, la Lyric Opera di Chicago, la San Francisco Opera, il Covent Garden, la Staatsoper di Vienna, l'Oper Frankfurt, così come con la Boston Lyric Opera, la Canadian Opera Company, il Teatro de la Maestranza di Siviglia, l'Opera di San Diego, la Santa Fe Opera, Cleveland Opera (non più esistente), Dallas Opera, Minnesota Opera e la Houston Grand Opera.
Hai già iniziato a trasmettere ai giovani le tue competenze tecniche e di grande esperienza di palcoscenico?
Sì, mi è piaciuto molto tenere quella che viene chiamata una Masterclass di preparazione al ruolo, in cui sono in grado di trasmettere i miei pensieri e le mie esperienze nella preparazione dei ruoli (dal punto di vista vocale, drammatico, linguistico e fisico) nei tempi lunghi, medi e brevi della preparazione. Se ho avuto esperienze spiacevoli, ne faccio tesoro per mettere in guardia i giovani cantanti su come evitare quello che ho passato io, e per apprezzarlo ed esserne felice quando le cose sono andate estremamente bene.
Facendo un consuntivo della tua carriera, quali sono i pregi e i difetti di questa professione?
La mia carriera è stata ben avviata grazie alle esperienze preparatorie che ho conseguito dalle sei produzioni operistiche (mentre conseguivo anche il Master in Musica) a cui ho partecipato presso il Musical Arts Center dell’Indiana University, e da lì come membro del programma giovani cantanti della Santa Fe Opera, e poi come membro dell'Ensemble della Lyric Opera di Chicago per due anni. I concorsi che ho vinto (il MET, il Concorso Verdi, il George London Opera Prize) hanno certamente contribuito al lancio iniziale della mia carriera, che posso riassumere in due intervalli di 18 anni: i primi 18 anni sono stati un periodo entusiasmante in cui ho svolto attività di cover al Met, cantato più di 10 ruoli importanti alla Lyric Opera di Chicago, diverse produzioni a La Monnaie di Bruxelles, molteplici ruoli alla New York City Opera, alla Boston Lyric Opera, alla San Francisco Opera, alla Cleveland Opera e alla San Diego Opera. Il secondo periodo, di circa 18-20 anni, comprende molti ruoli importanti alla Scala, al Teatro Regio di Torino, alla Fenice e in molti altri teatri italiani, oltre a ruoli importanti con l'Oper Frankfurt, Staatsoper di Berlino, la Staatsoper di Vienna, e il Teatro de la Maestranza di Siviglia. I vantaggi di avere una carriera così lunga (oltre 35 anni) e di continuare a migliorare vocalmente e drammaticamente, cantando grandi ruoli con importanti teatri d’opera, sono impressionanti e soddisfacenti. Gli svantaggi sono l'inabilità di controllare l’arco della carriera, che consiste nel ripetere ruoli già interpretati in modo eccezionale, la perdita dei propri agenti più efficaci a causa della loro morte o del loro pensionamento, e il doversi ripresentare ad amministratori, direttori generali e direttori artistici di grandi teatri che non si sono tenuti al corrente deituoi risultati e quindi pensano che tu non abbia le qualifiche necessarie per continuare a lavorare ai massimi livelli. Credo che questi svantaggi possano essere azzerati ricordando a chi ha il potere che c’è una buona ragione per cui un certo nome è conosciuto, ed è quella di inondare i social media e le altre vie di comunicazione con immagini di una emissione vocale giovanile insieme a un aspetto giovanile, e presentando idee fresche e innovative che infondono le mie esibizioni con un entusiasmo irresistibilmente magnetico che è contagioso (in senso positivo) per lo spirito umano.
Cosa c’è nel tuo futuro?
Mi piace essere parte del processo decisionale amministrativo, quindi quando mi viene chiesto di giudicare concorsi o di dare la mia opinione su cantanti che potrebbero essere adatti a determinati ruoli, sono molto felice di partecipare. Tuttavia, per ora ci sono più prospettive per continuare il concerto omaggio a Paul Robeson che ho eseguito per la prima volta alla Geffen Hall del Lincoln Center l'anno scorso. Dovrebbe andare anche in altre parti degli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo. Avendo vinto il premio Planet Africa Entertainment, mi piacerebbe molto portare il programma in alcune parti dell'Africa, se possibile. Il mese prossimo a giugno sarò di nuovo Jochanaan in "Salome", questa volte con la Houston Symphony Orchestra diretta da Juraj Valčuha. Non posso ancora svelare tutti i progetti della prossima stagione, ma sono molto felice di riprendere alla Monnaie di Bruxelles l'opera contemporanea "The Time of our Singing", premiata come miglior Creazione Mondiale agli International Opera Awards 2023.
Grazie per la piacevole chiacchierata e in bocca al lupo per tutto.
Grazie a OperaClick... è stato un piacere.
Danilo Boaretto