Esistono artisti fuori dal tempo, fuori dall’ordinario. Artisti che hanno la prerogativa, a ben osservarli, di far apparire come scatole vuote le usuali categorie di giudizio che vengono ripetutamente assunte per definire fatti, persone, eventi. Uno di questi artisti è sicuramente Giuseppe Giacomini. Figlio di un mondo contadino duro, povero fatto di lavoro, di sacrifici, di privazioni ma capace, all’interno di alcune famiglie come la sua e di alcune chiese come quella che frequentò da ragazzo, di far vivere un patrimonio di umanità, di affetti, di spiritualità in grado di lenire le ferite provocate dalle povertà materiali.
Questo era il mondo che accolse la nascita di Giuseppe Giacomini il 7 Settembre 1940 a pochi giorni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Questo è il mondo all’interno del quale si è formato, nel quale ha scoperto la fede, nel quale è sbocciata la vocazione per il canto (fatale una trasferta all’ Arena di Verona organizzata dal parroco) e dal quale ha cercato di riscattare sé stesso e la sua famiglia.
Una storia in verità quasi sovrapponibile a quelle di tante generazioni di grandi artisti che, partendo quasi dal nulla, hanno contribuito alla realizzazione della grande storia dell’Opera e del Belcanto italiano e capace in parte di spiegare anche l’enorme successo avuto dalla Lirica a livello sociale. L’opera, la musica, il teatro diventavano così anche occasione di riscatto, di riconoscimento sociale, di ricchezza. Il messaggio era chiaro e forte: la competizione sarebbe stata aspra, dura ma quasi sempre leale e meritocratica. Il Teatro poggiava saldamente sulle spalle degli artisti, sulle loro capacità, sulla possibilità di riuscire a far emergere la differenza, su un impegno forte e perseverante.
Questa molto probabilmente la visione che si era presentata al giovane Giacomini quando nacque in lui la passione per il canto, che lo indusse prima al difficile passo dell’iscrizione al Conservatorio Pollini di Padova, poi a duri ed umili lavori per riuscire a contribuire alle spese per lo studio, senza trascurare mai le poche ma resistenti amicizie che lo avrebbero accompagnato per tutto l’arco della sua vita. Sono anche gli anni nei quali ha conosciuto la futura moglie Liliana con la quale strinse da subito un sodalizio unico ed esclusivo creando una famiglia benedetta dalla nascita di due figli Giovanna e Giacomo ed ulteriormente arricchita dall’avvento di amatissimi nipoti.
Queste erano le realtà che hanno permesso la nascita, lo sviluppo e lo svolgimento della sua carriera, Una carriera eccezionale nata ufficialmente nel 1966 al Teatro Civico di Vercelli con il debutto in Madama Butterfly ma che ben presto lo porterà ad esibirsi nei più grandi e prestigiosi Teatri del mondo, al cospetto delle più importanti personalità politiche ed istituzionali, ricevendo i più alti riconoscimenti artistici e civili.
Ha legato il suo nome a collaborazioni artistiche decennali: con il Teatro Metropolitan di New York che, nel magnifico Gala del 1982 diretto dal M° James Levine, al termine dell’esecuzione della romanza "Ch’ella mi creda" da La Fanciulla del West di Giacomo Puccini gli riserverà un’autentica ovazione. L’applauso più grande di una serata che vedeva la partecipazione dei più famosi artisti del mondo. Ma anche con la Wiener Staatsoper che lo ha insignito dell’ambitissima onorificenza di “Kammersänger”, con il Teatro alla Scala, con il Covent Garden di Londra, con l’Arena di Verona, con l’Opera di Roma e Caracalla, con il San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo, l’Opera Bastille di Parigi, ecc.
Non vi è grande teatro al mondo nel quale Giuseppe Giacomini non si sia esibito e nel quale non abbia ricevuto l’affetto dal pubblico, mietuto successi, sinceri riconoscimenti ed onori.
Successi e riconoscimenti sicuramente dovuti alla straordinaria unicità della sua voce, scura baritonale nei centri, squillante lucente penetrante nel registro acuto ma soprattutto alla qualità del suo canto. Alla passione che riusciva ad infondere in esso, alla capacità del tutto particolare che aveva di andare alla ragione primigenia del canto stesso: l’espressione. Espressività, pathos che riusciva a trarre da ogni pagina, e trasferirla al pubblico con il sentimento, la passione che gli erano proprie e con la ferrea volontà nel ricercare sempre e comunque il raggiungimento di un nuovo, più sincero e più ambizioso limite espressivo. Le sue esecuzioni divenivano così delle autentiche opere d’arte, uniche, irripetibili, destinate a divenire indissolubilmente legate a lui, a quella serata, a quel luogo fino a restare un incancellabile ricordo.
É innegabile che il contesto sociale e soprattutto il mondo del Teatro, la sua organizzazione fossero diversi. I parametri di giudizio e di valutazione sono purtroppo cambiati, anche il Teatro si è omologato a modelli di largo consumo, di più facile, basica assimilazione e comprensione e purtroppo via via si è accettato il progressivo svilimento dell’importanza e del ruolo degli artisti nell’esecuzione operistica. Quello che a tante generazioni di artisti veniva richiesto come necessario patrimonio minimo di base ora sembra essere divenuto addirittura superfluo se non addirittura un ostacolo per la stessa carriera. Questa situazione amareggiava moltissimo Giacomini, ne aveva in parte condizionato anche la carriera ma soprattutto lo rattristava in riferimento ai giovani ed al fatto che avrebbero trovato un ambiente teatrale addirittura ostile al merito, dove la carriera è sempre meno legata alle doti artistiche e sempre più determinata da coincidenze esterne. Assisteva impotente alla perdita di buona parte di quei valori ai quali aveva dedicato la vita e che sostanzialmente avevano decretato il suo successo.
Giacomini era un vero grande artista. In ogni ruolo esaltava la vulnerabilità, l’umanità, la fragilità del personaggio, il suo anelito all’amore, al riscatto. La sua straordinaria voce, dalle capacità dinamiche incredibili, in questi momenti diventa ancora più calda, densa, dolce, si vela di una patina di malinconia, di rimpianto, il suo canto diventa un autentico pianto dell’anima. L’acuto che spesso sancisce la vetta di tali sentimenti, di questi stati d’animo diventa allora un tuono, un’esplosione. Non è mai ostentazione di forza, di virilità fine a sé stessa ma, al contrario, un concentrato di quelle emozioni. La voce mantiene quindi tutti gli armonici, tutta la carica che Giacomini aveva dentro di sé. Penso che desiderasse proprio che la sua voce salisse fino a Dio. Cantare, studiare, per Giacomini era come pregare. Era conscio che questa fosse la sua croce, queste le sue stigmate.
Anche ora mi chiedo che cosa avesse a che spartire Giacomini con il mondo dell’opera, con buona parte del pubblico e con alcuni dei suoi stessi fans. Poco o niente. Cosa aveva Giacomini in comune con la Musica, l’Opera, i suoi personaggi? Non ho mai trovato in lui compiacimento personale, a volte ho letto la gioia per essere riuscito ad esprimersi come desiderava. Gioia subito superata dal desiderio di tornare al piano per vedere se fosse possibile spostare ancora più in alto l’asticella.
Ha dedicato la sua vita alla propria voce, allo studio per far sì che la voce diventasse l’espressione della sua stessa anima, si commuovesse con lui, gioisse con lui. Ci è riuscito. Giacomini si esprimeva con la sua voce.
Forse, se fosse nato qualche decennio prima, avrebbe sofferto meno per tante cose che invece oramai accadevano con troppa frequenza in teatro ed anche per la sua carriera. Avrebbe vissuto in un mondo più abituato a premiare il merito, a dare a Cesare quel che è di Cesare, a riconoscere il valore nelle persone e nelle cose.
Basta una frase cantata da Giacomini per sentirsi trasportati in un altro mondo, in un’altra epoca. Un mondo nel quale tutte le persone hanno diritto a vivere, a percorrere la propria strada e, se hanno un dono una dote, a provarci.
Giacomini ci ha provato, ce l’ha fatta, ha vinto. Ha vissuto cantando, ha costruito la sua vita nella musica. È stato musica.
Proposte di ascolto: i veri artisti parlano attraverso le loro opere. I cantanti attraverso le loro interpretazioni e Giacomini con questi brani non ha bisogno di interprete o traduttore. Arriva al cuore come arrivano al cuore le parole che lui stesso ha posto sull'Adagio di Albinoni.
È un Giacomini forse meno conosciuto ma verissimo, autentico e per me inarrivabile.
Giovanni Montanari
Adagio di Tomaso Albinoni - tenore Giuseppe Giacomini.
registrazione del 1996
Il gondoliere - tenore Giuseppe Giacomini
registrazione del 2000
intervista a Giuseppe Giacomini effettuata da Maria Elena Mexìa per OperaClick nel 2006
Giovanni Montanari