Dall’inizio della pandemia, tra gli appassionati d’opera e gli addetti ai lavori del settore lirico, hanno iniziato a circolare frasi tra lo sconfortato e lo speranzoso: speriamo di uscirne, auguriamoci che i teatri riescano a sopravvivere, lo streaming è un surrogato, l’opera va vista in teatro, gli ingressi contingentati ci sono solamente per i teatri, auspichiamoci che le limitazioni vengano tolte per tornare al 100% della capacità, come faremo a vivere e via di seguito su questi toni. In realtà la pandemia ha solamente svolto il ruolo di capro espiatorio ed in parte ha consentito all’intera macchina teatrale, ed a chi ne tira i fili, di nascondersi dietro un dito.
Da qualche giorno tutti ad esultare per il 100% concesso con un certo ritardo rispetto all’auspicabile. Ma quali sono i fatti che raccontano l’autentica realtà del mondo dell’opera?
Il problema principale è costituito dall’età media degli spettatori che, ad essere cauti, per lo più è over cinquanta. Questo è un fattore su cui la pandemia, tra decessi e timori instillati, non ha certamente giovato. Di fatto, da alcuni decenni a questa parte, nel pubblico non c’è stato il necessario ricambio generazionale.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti ed ora che sono state tolte le limitazioni al numero degli accessi risaltano ancor più chiari e drammatici: in quasi tutti i teatri vi sono un gran numero di posti invenduti.
Altro che la guerra dei poveri che vede contrapposti conservatori e riformatori: provate a chiedere agli studenti di una qualsiasi università se preferiscono le regie di Michieletto, di Carsen o di Bonajuto e vedrete che la stragrande maggioranza vi guarderà come se gli aveste chiesto di spiegare la cosiddetta “equazione di Einstein” alla base della teoria della relatività. E mentre la barca continua ad imbarcare acqua, nessuna istituzione, a parte AsLiCo e qualche altra mosca bianca, fa qualcosa di concreto per porre rimedio.
Ma vogliamo convincerci che per tornare a far godere di ottima salute l’opera lirica è fondamentale tornare a mettere il canto e la musica in primo piano? Solo le immortali melodie belliniane, i crescendo rossiniani, le cabalette verdiane, la passionalità pucciniana e le vibranti composizioni di altre decine e decine di compositori riusciranno ad insidiarsi nelle vene e nei cuori della gente. Per riportare in salute l’opera lirica è necessario che nella stanza dei bottoni vi siano persone che, come minimo, abbiano voglia di comprendere la problematica ed amino profondamente l’opera.
Viviamo in Italia, patria di Monteverdi, Caccini, Peri, Paisiello, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Boito, Puccini, ecc. Già questo imporrebbe che gli insegnanti, a partire dalla scuola per l’infanzia, conoscano e desiderino insegnare l’opera lirica. Questo dovrebbe essere un prerequisito fondamentale. Se al mattino gli asili ricevessero i bambini sulle note del finale del Guglielmo Tell sarebbe un ottimo inizio. Poi dovrebbero esserci laboratori e ascolti dedicati alle opere più abbordabili per i bambini: L’elisir d’amore, Hänsel und Gretel, Il barbiere di Siviglia, Flauto magico, Turandot, ecc.
Uno scoglio difficile da superare è certamente quello dei genitori impreparati, cresciuti a forza di Grande Fratello, e convinti che l’opera sia roba per vecchi. Anche in questo caso potrebbero esserci delle soluzioni che tuttavia andrebbero trattate in un articolo apposito.
Appurato che al momento non si stia facendo quasi nulla per formare il pubblico di domani, stiamo vivendo una situazione che ha del surreale. Altro che dare la colpa alla pandemia.
Vi sono moltissimi teatri che non pagano o pagano con tempi improponibili.
Vi sono teatri che mettono in cartellone opere, le iniziano, poi le sospendono mandando a casa tutti (questo è successo a Venezia prima della pandemia).
Vi sono tantissimi artisti validissimi che non cantano perché non hanno la fortuna di far parte di una delle tre o quattro (ma forse anche meno) agenzie che in Italia sono maggiormente considerate dalle direzioni artistiche.
Durante il periodo della pandemia abbiamo potuto notare tutti che, ad avere impegni in streaming, erano sempre i soliti quattro o cinque nomi. Che noia!
Vi sono teatri che presentano stagioni i cui cast sono autentici specchietti per le allodole. Talvolta gli artisti si vedono inseriti in locandina senza nemmeno essere stati contattati.
Vi sono artisti che dopo sei mesi o più dalle recite, non hanno ancora visto il becco di un quattrino. Una cosa assurda. Ed i relativi teatri, nel frattempo, si vantano di fantomatiche riprese, rinascite da fallimenti, riaperture e rilanci. Una vera vergogna.
Ci sono ragazzi che stanno lontani settimane da casa per 1000€ lordi. Fate due conti e vedrete, dopo aver detratto le spese e le tasse, quanto gli rimarrà in tasca. Praticamente nulla. Aggiungete il fatto che, se sono "fortunati", prima d'essere pagati verranno richiamati da qualche altro teatro e quindi costretti ad esporsi con altre spese. Capite che la situazione diventa per loro insostenibile al punto da portarli a prendere la decisione di dedicarsi ad altra professione. Non sarebbe il caso che almeno per importi piccoli e per giovani artisti i teatri dovrebbero essere obbligati a pagare entro l'ultima recita?
Sino ad oggi gli appassionati sono sempre accorsi in aiuto dei teatri e alle loro grida di aiuto ma ora è giunto il momento di iniziare a riflettere anche su queste inaccettabili storture.
L’impressione è che l’ambiente teatrale sia gestito (con le dovute e rare eccezioni) da persone che pensano ognuna al proprio orticello (avuto in concessione dallo Stato) da cui ricavano patate, zucchine e cetrioli, promettendo di dividere la verdura con chi gli aiuta a zapparlo, salvo poi tenersi tutto per sé. Quanto potrà durare? A questo punto sarebbe auspicabile che lo Stato si accorgesse presto della situazione, espropri le terre concesse e mandi tutti a casa.
A questa stregua cara Italia, finché non avrai deciso di fare le cose seriamente, chiudi i conservatori e gran parte dei teatri, almeno eviterai a tanti giovani di illudersi di poter vivere con la musica e la cultura.
È triste arrivare al punto di dover dire, ma anche solo pensare, certe cose ed è anche evidente che gli eccessi a cui sono giunto in questo articolo siano soprattutto provocatori ma vengono dal cuore perché non c’è nulla di più crudele e meschino di illudere i giovani.
Danilo Boaretto