Andiamo dritti al punto: la pandemia sta causando gravissimi danni al settore dello spettacolo dal vivo e al suo luogo simbolo, il teatro. Si possono elencare le infinite declinazioni dei danni - dall’immagine alla semplice sfera affettiva - ma in questa sede ci interessa l’unico danno che sia d’interesse collettivo e tangibile, quello economico. Tanti teatri sono a rischio fallimento, tanti teatri stanno tirando la cinghia, molti complessi stabili come orchestre o corpi di ballo esistono ancora, ma a stipendio ridotto. Molti rischiano di non arrivare mai alla riapertura. Naturalmente tutto questo non è addebitabile al solo covid-19, esiste una situazione pregressa di mala gestione a livello ministeriale, ma è pacifico che l’attuale emergenza abbia esacerbato una situazione già di per sé critica.
Non stupisce quindi che si moltiplichino situazioni benemerite per puntare i riflettori sul teatro e i suoi lavoratori; l’ultima in ordine cronologico è Facciamo luce sul teatro, indetta da U.N.I.T.A. è andata metaforicamente in scena lunedì 22 febbraio. Le adesioni sono state altissime, oltre 630 teatri in tutta Italia, dalla Scala di Milano alla Fenice di Venezia, dal Maggio Fiorentino al Massimo di Palermo, dal Lirico di Cagliari al Regio di Parma (l’elenco è consultabile sul sito della proposta https://www.associazioneunita.it/wp-content/uploads/2021/02/ADESIONE-A-F...). Sostanzialmente ogni teatro della penisola ha risposto a quello che, più che un appello, suona come un grido d’allarme. Una risposta compatta, dunque, ma non identica od omogenea. Alcune realtà, come il Regio di Torino, hanno optato per una testimonianza silenziosa, “limitandosi” a tenere le luci accese, altri hanno deciso di essere meno silenti: l’Alighieri di Ravenna ha svelato integralmente la nuova illuminazione realizzata da Quick Lighting, inaugurata a dicembre e che ora riveste non solo la facciata del teatro ma anche i lati su Piazza Garibaldi e Piazzetta Einaudi; il Maggio Musicale Fiorentino, nelle persone del sovrintendente Pereira e dell’assessore alla cultura Sacchi, ha virtualmente accolto il pubblico con una diretta streaming in cui si sono esibiti artisti dell’Accademia del Maggio (il soprano Rosalía Cid e il baritono Francesco Samuele Venuti, accompagnati al pianoforte da Lorenzo Masoni); il Verdi di Pisa ha accolto il pubblico presente in strada con incisioni storiche udibili dalle finestre della facciata; al Laboratorio di Verona si è lasciato a disposizione dei concittadini il «Quaderno della Gente», una sorta di cahier de contentement sul teatro e a Roma Gabriele Lavia ha recitato davanti al Teatro Vascello illuminato. A queste iniziative esiste una risposta della massa, gli eventi sono stati molto frequentati e, se si vuole ragionare in termini di pubblico, il riscontro è assolutamente positivo. Cosa manca, dunque? Una risposta concreta delle istituzioni, che si confermano il grande assente sulla questione dello spettacolo dal vivo.
Allo stato attuale delle cose è poco utile parlare di cosa rappresenti il teatro sul piano culturale e umano, dopo un anno di emergenza si è visto che queste argomentazioni non hanno terreno fertile con l’attuale classe politica. Diversa è la questione prettamente economica: il 12 ottobre 2020, nel corso della trasmissione Stasera Italia, Piero Sansonetti ha sottolineato che: «Si possono chiudere i ristoranti? […] Si possono chiudere i bar? […] Si possono chiudere i teatri? Dal punto di vista economico penso di sì, se chiudiamo tutti i teatri d’Italia non succede niente perché non hanno certo questo business». Stando al rapporto Symbola del 2019, il Sistema Produttivo Culturale e Creativo nel 2018 dà lavoro a circa 1,55 milioni di persone e, se è vero che a fronte di una spesa dello 0,2% del PIL c’è un ritorno di circa il 2,1% del PIL (dati 2018), sarebbe oltremodo miope non considerare il peso che queste attività hanno sulle economie locali: chi sarebbe così sciocco da affermare che la Scala non genera un considerevole business per Milano? O quanto peso abbiano le attività di Riccardo Muti nell’economia di Ravenna? La realtà dei fatti è che lo spettacolo dal vivo continuerà ad arrancare finché non sarà visto per quel che è: un investimento.
Luca Fialdini