Renata Scotto
Estate 1981, a Ravenna con l'amico di sempre Luca Gorla ed il melomane ligure Marco Ciappino. Viaggio rigorosamente in treno con cambi e ritardi vari giungiamo a destinazione. Dopo una capatina alla "Ca' de vèn" a rifocillarci, si va alla Rocca Brancaleone, all'epoca appuntamento fisso con l'Arena di Verona e lo Sferisterio di Macerata dei melomani italiani. E non c'è molto da scherzare: tutti i divi passavano da Ravenna; dalla Caballé a Carreras da Cappuccilli a Luchetti da Cossutta a Siepi.
Questa volta l'opera in programma è Adriana Lecouvreur con un cast stellare: dal podio Molinari-Pradelli, un grande mai abbastanza lodato, dirigeva Giorgio Merighi, Maria Luisa Nave, Rolando Panerai (sembra Fafner, mi sussurrò Luca durante il "monologo") e, soprattutto Renata Scotto. Noi eravamo lì per lei.
Circolava voce che, ormai stabilmente affermatasi nei teatri americani, volesse prendere la cittadinanza statunitense e cambiare il proprio nome in Renata Scott... ma erano dicerie da loggione. Ovviamente sapevamo che l'indirizzarsi vieppiù verso ruoli drammatici aveva coinciso con un depauperamento dell'organo vocale evidenziato, in particolare, da oscillazioni abbastanza evidenti del settore acuto. Ma, diamine, si trattava pur sempre della maggior fraseggiatrice del dopoguerra e l'occasione era davvero ghiotta. Dirò subito che la Scotto non deluse ed a tratti entusiasmò. Certi fraseggi intimi e crepuscolari furono davvero toccanti e non nego di aver preferito la sua Lecouvreur a quella della pur celebrata diva Raina che avevo ascoltato al Filarmonico di Verona pochi anni prima. Era, mi si permetta il delitto di lesa maestà, meno artefatta, rispetto alla Kabaiwanska.
Sin dall'entrata "Io son l'umile ancella" e poi il duetto con Maurizio, la sfida con la Bouillon ed il declamato del terzo atto, tutto era davvero tra il sublime e l'ottimo. Poi... il diavolo ci mise lo zampino: arrivati a "Poveri fiori" la Scotto emise un pianissimo etereo e paradisiaco che lasciò tutti con il fiato sospeso. Momento magico interrotto, purtroppo, da un'ambulanza a sirene spiegate che circumnavigò la Rocca Brancaleone. Sarebbe, forse, passata senza danni ma il problema fu che la suddetta sirena non solo era perfettamente intonata con il sol di Adriana, ma oscillava pure di una terza come la voce della Scotto. Qualcuno si rammaricò, altri non si capacitava, si evocò un sortilegio fatto da altro soprano di cui tacerò il nome, Marco Ciappino imprecava in genovese (belin di qua, belin di là)... Io e Luca ridemmo, ma senza cattiveria: solo perchè la vicenda era davvero paradossale.
La recita proseguì e la Scotto fu fantastica sino alla fine. Qualche anno dopo fece un concerto in Scala, ma abitavo già a Parigi e non potei andarci. Questa Adriana, dunque, fu l'unica volta che la sentii a teatro. Ne conoscevo benissimo, però, l'evoluzione vocale ed interpretativa attraverso il disco. E qui, regolarmente il pubblico si divide.
Alcuni sostengono che la miglior Scotto sia stata quella del primo periodo, ovvero quella che si dedicava sostanzialmente ai ruoli di soprano lirico leggero. Ed è ovvio che, sotto il profilo strettamente vocale, abbiano pienamente ragione. La Fanny della Cambiale di matrimonio, i due Rigoletto, la Traviata, la Lucia, la Bohème e la Serva padrona sono meraviglie assolute. Per non parlare, poi, dei "live" di quell'epoca, in primis la Sonnambula con Kraus della Fenice, più volte ristampata anch'essa in CD.
Eppure, come dar torto a chi sostiene che la vera Scotto sia quella successiva? Quella, per intenderci, che ha registrato Andrea Chénier ed Adriana Lecouvreur con Domingo ed il magistrale Levine, Le villi, Il tabarro e Suor Angelica con Maazel, Pagliacci e Nabucco con Muti. Chi può negare che, nelle opere citate, anche in quelle meno riuscite come le ultime Tosca e Traviata sia assolutamente personalissima ed entusiasmante? E parlo del fraseggio, ovviamente. Sempre legato alla parola. Sempre intimamente "pensato". Come non ricordare nel bellissimo Tabarro del Met con un immenso McNeil e l'ottimo Moldoveanu quella frase sentita mille volte da altre interpreti: "Che vuoi, s'invecchia... tu pure sei cambiato, Michele" che, pur cantata sembra quasi recitata tanta è la verità che esprime. E come non commuoversi con la sua Francesca da Rimini sempre dal Met con un infuocato Domingo ed un corrusco McNeil sorretti da un Levine in stato di grazia e da una regia strepitosa di Faggioni? Ma anche certe opere come Werther, Carmen o Macbeth di cui circolarono subito le registrazioni "live" e che pure non si possono considerare come opere completamente risolte hanno sempre e comunque una impostazione differente, un fraseggio diverso, un'idea del personaggio mai banale. Insomma: che sia stata la fraseggiatrice di maggior talento nel canto di conversazione mi pare una verità difficilmente confutabile.
E qui apro una brevissima e personale parentesi. Ricordo una frase di Marguerite Yourcenar in un dibattito televisivo a Parigi: "Ma se non si va a teatro per emozionarsi, cosa ci si va a fare?" Credo che citasse un suo libro, forse Le memorie di Adriano, ma non ne sono certo. Ecco, io ritengo che la stessa cosa valga anche per l'ascolto della musica. Di qualsiasi genere di musica. Dai Beatles ad Adam de la Halle, da Mario Merola ad Haendel, da Puccini a Jacques Brel, da Verdi a Gigi d'Alessio a seconda dei gusti. Se non si prova quel brivido interno, forse è meglio non ascoltare. Forse è meglio far altro. Per questo, io preferirò sempre una Scotto che genera emozioni profonde nel mio inconscio, a tutti quei pigolanti sopranini che pensano solo ad emettere (spesso non riuscendoci) dei suoni corretti ma slegati dal significato del testo.
La musica, il canto, il teatro sono tutti mezzi per esprimere un'idea, un sentimento, un pensiero. E poco mi importa che la voce non sia più all'apice, se il significato esatto del momento scenico è quello che riesce a comunicarmi. La grandezza della Scotto, a mio parere, è stata questa.
Carlo Curami
intervista a Renata Scotto effettuata da Danilo Boaretto il 21 luglio 2019
Renata Scotto: "Poveri fiori" da Adriana Lecouvreur di F. Cilea