Joan Sutherland
(Sydney, 7 novembre 1926 – Les Avants, 10 ottobre 2010)
“Ma è sempre lui!!!”. Il grido squarciò l’attonito silenzio. Siamo nel 1983 al teatro Margherita di Genova. Oggi quel cinemone adibito a teatro non c’è più, rimpiazzato da un grande magazzino. Ma all’epoca, pur con un palcoscenico più ridotto della cucina di casa mia, vi si allestivano gli spettacoli lirici prima della ricostruzione del Carlo Felice, bruciato in un bombardamento durante la seconda guerra mondiale. A me il Margherita piaceva ed ho dei magnifici ricordi di produzioni davvero stupende cui ho assistito. Qui, lo confesso, mi scende addirittura una lacrimuccia. Ma bando alla nostalgia.
L’attesa era davvero spasmodica: si trattava, con "La traviata", niente di meno che il ritorno di Dame Joan Sutherland all’opera in Italia. Prenotazioni da tutto il mondo, sala gremita. Eppure, sin dall’inizio, si avvertiva una strana atmosfera, una tensione inusuale per quel teatro solitamente sonnacchioso. L’intera Genova fiutava l’evento. Ma, vuoi perché Bonynge (direttore sempre sottovalutato e gran signore) non aveva proprio nelle sue corde un’opera come "Traviata" già proiettata oltre al periodo d’oro dell’amato belcanto, vuoi perché l’allestimento era povero (eufemismo: leggi “brutto”), vuoi perché il tenore Lamberto Furlan cominciò a stonare e steccare da subito, le ovazioni alla fine del primo atto non ci furono, nonostante un Mi bemolle della Sutherland folgorante.
Nell’intervallo il pubblico, come da tradizione ligure, mugugnava.
Il secondo atto passò senza infamia e senza lode.
Il disastro avvenne nel terzo: il Furlan, chiaramente emozionatissimo, stonò, steccò e non andò a tempo in Parigi, o cara, continuamente beccato dagli spettatori inferociti. La Sutherland, sdegnata, fuggì tra le quinte seguita a ruota dal principe consorte Bonynge e, si seppe dopo, si allontanò subito in taxi. Sipario.
Dopo una decina di minuti, con il pubblico inchiodato alle poltrone, la solita voce anonima uguale in tutti i teatri, annunciò che lo spettacolo sarebbe ripreso con la direzione di Aldo Pirollo e con Slavska Taskova-Paoletti come protagonista. Si riapre: “Ma è sempre lui!!!”, riferito al povero tenore che, addirittura, si portò a proscenio implorante e piangente, quasi scusandosi e, per questo, tra le urla di dissenso, fu applaudito copiosamente da una parte degli spettatori che stigmatizzavano il comportamento fuori dai canoni degli altri.
Con il senno di poi, riascoltando questa serata (ci sono degli estratti su youtube), in fondo Lamberto Furlan, pur con tutti i difetti già elencati, non fu neppure troppo malvagio, visti i cantanti che ci propinano oggi. E la Sutherland, direte voi?
Pur con una voce che non poteva essere quella degli anni d’oro ed in un’opera che, in fondo, le si addiceva solamente a tratti, fu ottima. Non le giovarono un aspetto ormai polveroso e vetusto ed una presenza scenica da gatto di marmo, forse a causa dell’allestimento e della regia. Ma tecnicamente fu veramente impareggiabile.
Non fu l’unica volta che ascoltai la Sutherland e teatro. Nel 1979 fui uno dei pochi ad essere riuscito ad intrufolarsi ad un concerto ad Asolo in cui si esibiva, accompagnata al pianoforte dal marito, in alcuni suoi cavalli di battaglia da Haendel a Bellini, da Massenet a Reynaldo Hahn (un musicista da riscoprire) concludendo la performance con l’aria di Annetta dal "Crispino e la comare" cantata ed interpretata in modo sublime.
Scioccamente non andai alle recite di "Lucrezia Borgia" a Roma poco tempo dopo ed invece rammento il concerto che fece nell’82 ancora al Teatro Margherita dove, se non ricordo male, si esibì anche nell’aria della reine Margot dagli "Ugonotti" ed in Bel raggio lusinghier dalla "Semiramide". Infine, anni dopo, la ascoltai in una "Lucrezia Borgia" con Kraus, la Dupuy e Pertusi al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, ma la voce aveva acquisito screziature senili e Dame Joan appariva assai attempata.
Apriamo una parentesi. Spesso mi chiedono come fosse la sua voce in teatro. Ecco, la voce della Sutherland era assolutamente inconfondibile e personalissima. Non parlo di timbro, ma proprio di emissione. Il suono della Sutherland era aereo e liquido nello stesso tempo. Dava l’impressione di non fare mai il minimo sforzo ed i suoni sembravano generati dalla cupola del teatro piuttosto che dalla sua gola. Aveva una padronanza del fiato assoluta ed una conoscenza della prassi esecutiva (in particolare del periodo barocco e belcantista) che rasentava la perfezione. Però qui mi fermo.
Sull’altro piatto della bilancia ci sono una dizione pressoché incomprensibile ed un senso del fraseggio basato più sul suono che sulla parola, uniti ad un senso drammatico inesistente e ad un atteggiamento attoriale da cariatide greca.
Certo, io non ho potuto ascoltarla nel suo periodo più fulgido, però guardandola su youtube, l’impressione è questa. Ora, chi mi legge sa che prediligo cantanti magari meno ortodossi nell’emissione ma più personali nel fraseggio. L’esempio più evidente è quello di Tito Gobbi: voce orrida, tecnica perfida ma interprete eccezionale. Si può capire, quindi, che la Sutherland susciti in me immensa ammirazione ma che raramente mi emozioni. E quasi solo in ambito barocco. Ciò non toglie che la sua importanza sia stata assolutamente storica e che abbia rappresentato, con la Devia, l’apice di quelli che erano strumenti perfetti ma interpretativamente neutri. Non è un appunto: è semplicemente fattuale, come direbbe Feltri.
Come non restare ammirati di fronte alla perfezione assoluta del suo Haendel? O Bononcini? O Graun? Come non restare letteralmente a bocca aperta ascoltando la sua "Lucia"? O la sua "Borgia"? O la sua "Norma" (la prima: quella del 1964). Mettiamoci dentro anche i francesi sui quali, comunque, qualcosa da ridire ce l’avrei. Però mai un guizzo interpretativo, mai un’idea che non fosse solo ed esclusivamente vocale.
La carriera, come ciascuno sa, fu straordinaria: dopo gli esordi non brillantissimi e fino alla famosa "Lucia" del 1959 al Covent Garden, la Sutherland artisticamente vivacchiò. L’incontro con il marito Richard Bonynge la indirizzò verso un repertorio, quello belcantistico, che ne mise in risalto le doti vocali ed acrobatiche. Tutti i teatri la bramavano e, per un trentennio, fu l’incontrastata regina dei palcoscenici. Volle allargare il repertorio, tentazione che tutti i cantanti ebbero ad eccezione di Kraus. Contrariamente ad altri, queste incursioni vuoi in Massenet o Delibes, vuoi in Verdi non ne compromisero l’organo vocale. Solo che, necessitando di altro genere di doti interpretative, in quest’ambito non brillò se non a tratti, limitandosi spesso ad una resa impeccabilmente formale e nulla più. Donna semplice e priva dell’arroganza delle dive, dopo il ritiro si chiuse nel suo cottage in Svizzera con il marito limitandosi a qualche masterclass ed ad alcune presenze in giuria a vari concorsi di canto.
La sua discografia è sterminata e sempre, ad eccezione di una brutta "Lecouvreur" ed una tarda inutile "Norma", eccezionale. La sua "Alcina" è strepitosa tanto nel live di Venezia, quanto nell’incisione ufficiale con Pritchard. E non fatevi ingannare da chi dice che sono edizioni non filologiche: spesso la ricerca storica si accompagna ad una scarsa resa teatrale. E poi le sue due "Lucie", i due "Rigoletti", i due "Puritani", la "Stuarda", la "Borgia", gli "Ugonotti", i "Masnadieri", "Esclarmonde" sono autentiche gemme.
Segnalo anche "L’oracolo" di Leoni che è un’opera fantastica che andrebbe riproposta a teatro. Ma, che sia chiaro, tutta la discografia della Sutherland desta grande ammirazione. In definitiva, uno dei soprani del XX secolo da ricordare ed additare ad esempio. Non per nulla in Francia la chiamavano la Stupenda, contraltare della Divina Maria Callas. Il nomignolo poi fece il giro del mondo restandole indelebilmente appiccicato addosso. E Stupenda lo era davvero: difficile trovare acuti e sopracuti più precisi e sicuri ed agilità così fluide.
Era la perfezione fatta canto. L’emotività del palcoscenico, però, non dimorava in lei.
L’arte, almeno per come la intendo io, è altra cosa.