Corneliu Murgu
(Timisoara , 25 luglio 1948 - Timisoara, 27 aprile 2021)
Quell’anno (1985) a Milano si parlò solo dell’Aida di Pavarotti. Chiariamo subito: nonostante gli applausi il pubblico alla prima non gradì molto. Ricordo un inciso ironico del regista Vittorio Rossi: Pavarotti in Aida può fare solo l’elefante. Ovviamente non era così, ma è certo che la Scala non lo amasse, preferendogli Domingo e Carreras, giusto per restare ai tre tenori. Come Radames, big Luciano si alternava all’immarcescibile Nicola Martinucci, voce adamantina sugli acuti ma neutro come interprete, ed a Nunzio Todisco, voce buttata fuori un po’ a caso e non molto diverso come personalità rispetto al primo.
Passando, una mattina di fianco alla Scala, leggo sulla locandina che Todisco è malato e che si esibirà Corneliu Murgu, nome a me ignoto. Chiamo subito l’amico di sempre Luca Gorla: “canta Murgu”. “Andiamo” disse lui. Così, dopo un clamoroso panino al bar Verdi, ci rechiamo a teatro. "Celeste Aida": acuti faticosi, tenuta ritmica instabile, stonature varie. Io e Luca ci guardiamo presagendo il disastro. Ma a teatro, come si sa, i miracoli accadono più frequentemente che altrove. Già, perché da lì in poi fu il miglior Radames che io abbia ascoltato a teatro, ad eccezione di Giacomini e Cossutta. Accento rovente, acuti squillantissimi ed una personalità artistica che faceva pensare ai grandi Radames del passato. Certo, non era Lauri-Volpi e neppure Pertile, ma la sua prova fu talmente entusiasmante che io e Luca andammo a congratularci nei camerini. Corneliu Murgu ci accolse avvolto in un accappatoio bianco ed ai nostri complimenti replicò con una frase che non dimenticherò mai: “Grazie, ragazzi. Ma dovete sentire come canto il verismo”. Stupore mio e di Luca: il verismo, capite, il verismo. All’epoca, imbevuti di cellettismo e di riscoperte rossiniane, anche solo nominare il verismo era un peccato da malebolgie, un reato da pena capitale, una colpa da lavare con l’esilio e trovare un tenore che rivendicasse la propria bravura in quel repertorio negletto era davvero come scoprire l’araba fenice o la ricetta della pietra filosofale. Però Murgu diceva il vero. Ne ebbi la riprova qualche anno dopo a Tolone dove fu un Canio entusiasmante accanto alla magnifica Nedda di Denia Mazzola ed al Tonio tonitruante dell’ottimo Sergio de Salas, diretti magistralmente da Giuliano Carella. Certo, delineò un personaggio un po’ a senso unico: violento, irascibile, rabbioso. Ma gli accenti che riusciva a dare lo rendevano estremamente credibile.
Lo ascoltai ancora a Rouen nel Samson et Dalila ma le continue liti (sì, anche in scena) con la conterranea Cleopatra Ciurca resero problematica la recita. Intendiamoci, fu comunque un ottimo Samson ma nulla di più. Ed infine, all’Opéra-Bastille fu Otello, il “bianco” di Venezia.
La cosa andò così: il titolare del ruolo, Vladimir Atlantov, si ammalò la mattina della recita. L’unico tenore che conoscesse la parte e che fosse libero era Murgu che, però, era in non so quale parte del mondo e poté arrivare, causa ritardi del suo volo, solo poco prima dell’apertura del sipario. Fu vestito e catapultato in scena senza neppure avere il tempo di essere truccato. Cosicché cantò con il suo colore di pelle naturale e senza quella patina di lucido da scarpe che solitamente si applica a qualsivoglia Otello. La sua prestazione fu più che decorosa, considerate le condizioni in cui era maturata. Ma, vuoi perché Otello è figura gigantesca da dipingere, vuoi perché il lungo viaggio lo aveva stancato, mi parve leggermente inferiore al ruolo e, più che fiacco vocalmente, sembrava assente sotto l’aspetto interpretativo. Il pubblico, in ogni caso, lo appludì copiosamente.
La sua carriera fu eccezionale, pur senza raggiungere la gloria di altri suoi colleghi. Wiener Staatsoper, Metropolitan di New York, Philadelphia, Pittsburgh, New Orleans, Palm Beach, Denver, Berlino, Monaco di Baciera, Francoforte, Colonia, Stoccarda, Zurigo, Avignone, Parigi, Lione, Tolosa, Bordeaux, Montpellier, Lisbona, Las Palmas, Bilbao, Barcellona, Melbourne, Rio de Janeiro, Johannesburg, Tokyo, Odessa furono alcune delle piazze in cui Corneliu Murgu ebbe autentici trionfi.
Uomo di cultura (tutta da autodidatta, ma profonda), Murgu amava molto l’Italia, dove visse alcuni anni studiando con Marcello Del Monaco.
Artisticamente nel nostro paese lo si ricorda principalmente per quell’Aida alla Scala, per alcune recite di Otello all’Arena di Verona ed, alle terme di Caracalla, ancora in Aida, Carmen e Turandot. Il timbro era interessante e di un colore plumbeo. La voce in sé non era né grande, né piccola, né bella, né brutta. Le sue caratteristiche si potevano riscontrare in un registro acuto solido ed adamantino ed in un accento a tratti infuocato.
Ancora in piena forma smise di cantare per ottenere la carica di Direttore dell’Opera di Timisoara, portandola ai primi livelli tra i teatri romeni ed ingaggiando sovente artisti italiani come Roberto Scandiuzzi, il direttore d’orchestra David Crescenzi ed il regista Mario De Carlo.
La sua discografia è scarna e tutta per case discografiche “minori”: un Otello per la Koch-Schwann diretto da Gustav Kuhn, una Carmen per la United Classics, un Andrea Chénier con Aprile Millo e poco altro. Sono tutte esecuzioni “live” di non memorabile livello. Molto meglio ascoltarlo su youtube dove il materiale è sicuramente più interessante.
In definitiva, uno dei tanti onesti professionisti cha calcarono scene importanti senza mai giungere ad una vera fama internazionale ma mostrando una professionalità che oggi non sempre si riscontra a teatro. Purtroppo.
Carlo Curàmi
Corneliu Murgu: "Addio alla madre" da Cavalleria rusticana